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Non è un paese per vecchi, né per giovani

Mi riaffaccio qua intanto per dare presenza della mia esistenza in vita, il che non fa mai male.

Poi per raccontare un episodio piccolo che m’è capitato qualche giorno fa.

Dunque: saprete che esiste questo fantasmagorico Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (o PNRR per gli amici), che mette a disposizione del nostro paese una caterva di miliardi di Euro, parte a fondo perduto (traduzione: gratis et amore dei), parte da restituire ma ad interessi agevolati. Questa carrettata di soldi va impiegata per far ripartire il carretto Italia: per ammodernare le Pubbliche Amministrazioni, per realizzare infrastrutture, per supportare la transizione verso Industria 4.0 (qualsiasi cosa ciò significhi, ovviamente)… cose così insomma.

Questa montagnola di soldi è un’opportunità, ma anche un problema per l’Italia perchè va impegnata prestissimo e secondo criteri che dovranno passare il vaglio della Commissione Europea. Insomma: non si può fare alla cazzo di cane come al solito, né usare il malloppo per “ridurre le accise sul gas e la benzina” (cit. Meloni e Salvini), né tantomeno rifinanziare il reddito di cittadinanza per come è oggi.

Queste due condizioni (spendere PRESTO e BENE) hanno già prodotto nel settore di cui mi occupo io (lo Spazio) la simpatica conseguenza che una buona fetta di investimenti italiani per l’industria aerospaziale, volti soprattutto allo sviluppo di sistemi satellitari di osservazione della Terra, sono stati dati in gestione all’ESA (l’Agenzia Spaziale Europea) invece che a strutture nazionali. Si tratta di circa 1,4 Miliardi di Euro, non esattamente bruscolini, e la gestione di bandi, controlli e collaudi costerà all’Italia il 6% di quei 1,4 Miliardi di Euro.

Intendiamoci: questi soldi dovranno essere spesi da aziende italiane, e dovranno generare profitto in Italia, e l’ESA non è poi così inefficiente nel gestire grandi programmi. Però questa scelta è un segnale: come paese non siamo bravi (pietoso eufemismo) ad allocare soldi dove servono, né tantomeno a spenderli velocemente.

Ma veniamo a me.

Leggo pochi giorni fa, a fine novembre, che c’è un bando pubblico per la selezione di esperti che supporteranno i vari Ministeri nella gestione del PNRR. Bene: è un lavoro a tempo, si tratta di cose che conosco abbastanza bene (e aggiungo che le conosco “dalle due parti” per aver lavorato in entrambe: quella della Pubblica Amministrazione che bandisce le gare ed eroga i finanziamenti, e quella dell’azienda che risponde ai bandi e spende i soldi), pagano -per una volta- molto bene… Decido di candidarmi, alla fine saremo in migliaia e anche se fossi selezionato potrei rinunciare (nel caso di un attacco di pazzia improvvisa, dico).

La candidatura si fa solo attraverso il “Portale del Reclutamento” (quando leggo “Portale” io pronuncio “Porcale”, metto mano alla bestemmiatrice e imposto il tiro sulla raffica) della PA.

E va fatta molto velocemente. perchè il tempo concesso è dal 30 novembre al 6 dicembre 2021. Una settimana scarsa.

Ok, andiamo sul Porcale.

Si entra solo con SPID. Bene: ce l’ho. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto con errori di server da ambo le parti (quello delle Poste Italiane che mi ha cortesemente offerto lo SPID gratis, e quello del Portale del Reclutamento) scopro che servono due devices, perche’ con quello su cui hai lo SPID devi inquadrare un QRCode dalla pagina del Portale, ma alla fine riesco ad entrare e il sistema riempie le prime tre o quattro caselle della domanda di partecipazione (nome, cognome, sesso, data di nascita e codice fiscale). Eccellente partenza, invero.

Da qua in poi si deve “caricare il Curriculum“. Che non significa prendere l’ultimo CV che hai, magari in formato Europass, magari in inglese, oppure connettere il Portale alla tua pagina Linkedin.

No: significa proprio riempire tutte le fottute caselle, tutte fottutamente indispensabili per passare a quelle successive.

Bene, e’ sabato e mi metto di buzzo buono nell’impresa.

Che fallisce immediatamente allo step 1: Titolo di studio.

Io non è che non abbia titoli di studio, eh? E’ che essendo oramai cinquantaquattrenne, e non avendo mai dato alcun significato al pezzo di carta non ho copie incorniciate di Laurea e Dottorato di Ricerca per la casa. Mal me ne incoglierà, come vedremo.

Le caselle da riempire sono:

  • Ciclo di dottorato seguito
  • Data di conseguimento del titolo
  • Università che l’ha rilasciato
  • Votazione

La tesi di Dottorato la discussi nel 1997, ma la data esatta è buio totale. Cerco disperatamente di ricordarmi almeno il ciclo, scopro che è(ra) il IX (dell’era fascista, probabilmente…), e provo a vedere se in rete esistono dei database. Ne esiste uno gestito dal CINECA che però parte dal XII ciclo (borbonico, suppongo) e da questo database si ottiene quasi nulla di significativo, non certamente i nomi dei vincitori del concorso, ad esempio. Né tantomeno la data di conseguimento del titolo.

Ok, piano B: scrivere all’Università che ha rilasciato il titolo. Nel mio caso dovrebbe essere Roma 1, l’esame finale lo feci lì oramai più di vent’anni fa. Dal sito riesco a trovare un indirizzo email dell’ufficio Dottorati, e scrivo per sapere come caspita si fa ad ottenere un certificato di addottoramento. La risposta anonima (che inizia con un inconcepibile “Gentile Dott.ssa” che non mi offende per nulla, ma che la dice lunga su quanto devono aver letto la mail in quell’ufficio) arriva a bando oramai chiuso da un par di giorni; mi si dice che tutti i certificati di Dottore di Ricerca conseguiti fino al 1999 possono essere richiesti esclusivamente al MIUR secondo le modalità che un cortese link mi spiega.

Intanto apprendiamo immediatamente che “I Diplomi non possono essere spediti per posta“. Quindi, per entrare in possesso della pergamena che attesta che ho il titolo io devo andare (o mandare qualcuno con delega firmata da me) direttamente al MIUR, avendo cura di aver con me:

  • il certificato sostitutivo del titolo, rilasciato dalla Università dove è stato sostenuto l’esame finale, dopo la consegna degli attestati di deposito delle tesi presso le Biblioteche Nazionale di Roma e Firenze;
  • una marca da bollo di € 14,62.

Per la marca da bollo nessun problema, per il certificato sostitutivo invece temo che dovrei mettermi a scavare in qualche antro-segreteria alla ricerca di quel “certificato sostitutivo” che incautamente mi pare (non ne sono sicuro) di non avere mai richiesto.

Capirete che non ho applicato, alla fine.

Ma questa storia è paradigmatica di come funzionano le cose nella Pubblica Amministrazione, anche quando ci sono –forse, gli dò il beneficio del dubbio- le migliori intenzioni di fare qualcosa per bene:

  • Hai un problema grosso (spendere i soldi presto e bene, ricordiamocelo), e ti accorgi che con la struttura inefficiente che hai (la macchina della Pubblica Amministrazione Italiana) non lo potrai gestire.
    1. Se sei Colao, applichi la soluzione semplice ad un problema complesso: deleghi a qualcuno che si suppone sappia gestire ‘ste cose (per ESA 1,4 Miliardi da gestire sono bruscolini, alla fine).
    2. Altrimenti fai un bando per selezionare chi potrebbe aiutarti, MA…
      • Tieni aperto il bando per sei giorni (forse perchè la presa di coscienza che il problema è grave c’è stata tardivamente…), e
      • Alla fine selezioni “naturalmente” chi in questi contesti ha già tutto pronto: il concorsista pubblico seriale. Che è esattamente colui di cui NON HAI BISOGNO.

Vorrei spendere due parole sull’ultimo punto. In casi come questi dove i soldi che gireranno sono parecchi e le possibilità di -come dire?- circuire il finanziatore (ossia lo Stato) numerose, sarebbe il caso di arruolare nel novero di coloro che controllano le cose qualcheduno esperto in -come dire?- circuiti circonvenzioni. A partire dall’inizio, ossia da quando si scrivono i bandi, per continuare nella loro assegnazione tramite gara e nel controllo degli stati di avanzamento. Per prendere un pirata informatico non assumi un programmatore PHP, per dire: meglio convincere un hacker a lavorare per te, perchè i trucchi per sfondare il tuo firewall l’hacker li conosce, probabilmente il programmatore PHP no.

Non so cosa ne sua uscito, dalla selezione ultrarapida con modalità da PA old style di centinaia di “tecnici” di supporto all’attuazione del PNRR. Per me poco di significativo, a parte l’avere impegnato un par di milionate per il pagamento delle consulenze. Per arrivare alle centinaia di miliardi bisognerà fare molto, molto di più.

Perché alla fine, come cantava Lou Reed, raccoglierai quel che hai seminato.

Barney

Ecco un ottimo candidato all’IgNobel 2019

Titolo dell’articolo pubblicato su “Acta Tropica”:

The electronic song “Scary Monsters and Nice Sprites” reduces host attack and mating success in the dengue vector Aedes aegypti

Il succo: se si fa ascoltare alle zanzare un certo  pezzo di musica dubstep, queste pungono meno, e si riproducono pure meno.

La conclusione: si potrebbero realizzare dispositivi di protezione dalle zanzare basati su quel pezzo di musica dubstep.

Ora, la domanda che mi sorge spontanea è come caspita hanno scelto quel pezzo e solo quello, tra i miliardi di brani disponibili, E se hanno fatto comparazioni tra l’efficacia di quello schifo e qualsiasi altro brano, anche fosse “Gelato al Cioccolato” di Pupo.

Sarete curiosi di ascoltare il magGico pezzo musicale, così da potervi preparare lo zampirone elettronico in vista delle prossime invasioni alate. Ve lo linko a vostro rischio. Ma fa schifo anche a me, oltre che alle zanzare (le capisco: ad ascoltare roba simile l’unica cosa che ti viene in mente è fuggire lontano), quindi andiamo in libera uscita:

 

Barney

I malanni di stagione (secondo i trend pubblicitari)

In TV e alla radio c’e’ sempre piu’ pubblicita’ “medica”. E’ tutta roba da banco, chiariamoci, quella che in America si chiama appunto OTC. Nulla che puo’ veramente salvarti la vita. Pero’ puo’ essere utile per tracciare una specie di mappa delle piccole malattie di stagione, considerando la quantita’ di spot che si dedicano a determinate malattie.

Dal mio personale e casualissimo osservatorio mi sono segnato queste quattro epidemie, che rappresentano l’equivalente odierno della tubercolosi e del tifo petecchiale:

Unghie incarnite/funghite (cioe’, coi funghi). Capisco che d’estate andare a giro coi sandali e le unghie conciate come tartufaie non e’ il massimo, per cui come malanno di stagione questo e’ al primo posto. Da quel che mi pare di avere capito si deve spennellare l’unghia con una roba che presumo parente prossima dell’acido muriatico.

Diarrea. Qua si strizza l’occhio al viaggiatore incauto che si abbevera ad improbabili fontanelli guatemaltechi, oppure -c’e’ uno spot che gira adesso- a tizi sfigatissimi che dopo anni di solitudine riescono a strappare un appuntamento ad una trota a caso, per scoprire di essere vittime di cagotto pre-cena proprio la sera fatidica. Malanno buono per tutte le stagioni, insomma, che si cura con bustine di cemento a presa rapida, o pillole a scoppio controllato.

Prurito vaginale. Il caldo, il sudore, la promiscuita’… possono certamente acuire il problema. Basta telefonare alla mamma che vi spieghera’ come si risolve la cosa: con la pomatina che pure lei usava dopo essere stata col bagnino del Forte.

Colpo della strega/stiramento muscolare. Una bella partita di tennis alle due del pomeriggio, sul campo di cemento in pieno centro, puo’ lasciare questi ed altri ricordi. Ad esempio l’insolazione, la disidratazione. O l’infarto. Pomatina anche qua, oppure cerotto riscaldante, dipende da quanto velocemente volete tornare a rompervi il resto della muscolatura.

Poi c’e’ il resto: parodontite, bruciori di stomaco, carenza di sali minerali… Credo che la cosa peggiorera’ man mano che la popolazione invecchia. Credo sara’ uno dei migliori business del futuro.

 

Barney

 

Once in a lifetime: ‘na ricetta

Tra i blog a tema fanno furore i foodblog, che spesso si trasformano in posti dove si fanno marchette a ristoranti o prodotti alimentari. E i foodblogger sono una setta a se, un gruppo in cui immagino tensioni e invidie da fare invidia alle curve dei tifosi di calcio.

Le ricette sono riportate con precisione micrometrica: dosi, strumenti, temperature di cottura, tempi… tutto riportato alla terza cifra decimale, i passaggi elencati con scarna prosa da verbale del brigadiere Cacace, e illustrati da foto che per essere scattate han richiesto scenografie da calendario Pirelli. Ci sono eccezioni, ovviamente, ma la maggioranza mi pare sia di questa fatta, e col fiorire di MasterCheffi e HellsKitchens la tendenza e’ all’aumento esponenziale, sia di questi blog che dei loro lettori.

Food is the new porn, insomma.

Detto cio’, vado a descrivere qua sotto in maniera del tutto anarchica, senza immagini e con quantita’ casuali una delle ricette che a me vengono meglio: il couscous.

Non la faro’ lunga sulla parte vegetale e animale della ricetta, dove ogni foodblogger che si rispetti mi potrebbe fare le scarpe in due secondi, mi concentrero’ invece sulla cottura della semola.

Dove in molti di questi novelli Artusi mi scivolano come su una buccia di banana.

Si, perche’ da molte parti si legge che cuocere il couscous e’ una cazzata: basta seguire la semplice ricetta scritta sulla confezione. Che dice piu’ o meno testualmente:

fate soffriggere 500 grammi di couscous in un po’ di olio extravergine d’oliva (qui il foodblogger avrebbe scritto “OLIO EVO”, ma io non sono un foodblogger…), aggiungete due bicchieri di acqua bollente, un po’ di sale, spegnete il fornello, incoperchiate e lasciate riposare cinque minuti. E il vostro couscous e’ pronto.

Col cazzo.

La roba che otterrete in questo modo e’ -per fare un esempio culinario- quello che vien fuori a fare la polenta con le buste ValBrembana (si, il nome non e’ quello, ma a me la polenta ValBrembana mica mi paga…). O il pure’ di patate coi fiocchi. Otterrete insomma una roba veloce che risulta appena mangiabile, pesante e nemmen lontanamente parente del prodotto vero.

Adesso ve lo racconto io, come si cuoce il couscous.

La premessa: cuocere ammodo il couscous e’ come fare la lotta nel fango con un maiale. Se ne esce abbastanza insozzati, e il couscous -come il maiale- si diverte piu’ di voi.

La ricetta: si parte con la stessa semola precotta che potete cuocere alla disperata in due minuti. Pero’ stavolta la metterete in un bel contenitore tipo zuppiera bassa (o insalatiera, o quel che avete. Piu’ e’ largo il contenitore, meglio e’). Aprite la confezione di couscous e versatela nel contenitore. Prendete un bicchiere di acqua fredda, mescolateci un cucchiaino di sale fino e poi versate il tutto a freddo sulla semola, impastando con le mani per fare assorbire l’acqua. Poi aggiungete sempre a freddo della curcuma o dello zafferano, per colorare il vostro couscous.

Nel frattempo che la semola riposa, avrete preparato il vostro spezzatino con verdure e spezie, di cui non vi daro’ la ricetta per pigrizia assoluta. Vi dico solo che cipolle e cumino a fiumi sono indispensabili, e che alla fine si dovrebbero agiungere dei ceci. La cosa fondamentale e’ che cuociate questo spezzatino -o stufato- in un pentolone alto, sopra il quale si possa incastrare perfettamente o una vaporiera, o uno scolapasta di acciaio, o la cuscussiera. Li’ dentro (ossia, nella vaporiera/scolapasta/cuscussiera) andra’ versata la semola quando la pietanza che sta sotto sta cuocendo. Senza timore che esca dai buchi e finisca tutta nello spezzatino: il vapore bagnera’ il contenitore e non ci saranno problemi. Messa la semola, doveta tappare con un coperchio il tutto e lasciare cuocere il couscous per un po’, diciamo 15-20 minuti.

Passati i suddetti minuti, muniti di presine o di guanti da forno, alzate la cuscussiera dal pentolone, e versate il couscous nella stessa insalatiera o zuppiera iniziale. Brucera’ parecchio, e i granelli salteranno qua e la’, sappiatelo. Poi prendete un mestolo e innaffiate la semola con uno-due mestolate di brodo di carne-vegetale che avrete avuto cura di far bollire in parallelo con lo spezzatino (vi servira’ anche per bagnare lo spezzatino durante la cottura, m’ero dimenticato di avvertirvi), e se siete molto coraggiosi sgranate il couscous bollente a mani nude. Altrimenti potete usare una forchetta. Lasciate riposate la creatura una decina di minuti cosi’, fuori dal fuoco, poi riprendete la cuscussiera e rimetteteci dentro la semola (che andra’ a giro per i cazzi suoi, come sempre), tappate col coperchio e impilate sullo stufato che continuava a cuocere (magari mettete nello stufato una mestolata o due di brodo, che senno’ s’attacca tutto) e lasciate tutto sul fuoco un’altra decina di minuti.

Passati anche questi dieci minuti, ripetete l’operazione di togliere la semola dalla cuscussiera, metterla nella zuppiera, bagnarla di brodo bollente, sgranare e far riposare altri dieci minuti.

Rifate tutto questo un’altro paio di volte almeno, e alla fine avrete una cosa che quando ve le metterete in bocca -con lo spezzatino ben speziato- vi chiederete come avete fatto fino ad allora a poter mangiare couscous cotto come dice la confezione.

Ah, raccomandazione tardiva: attenzione che mezzo chilo di semola cotta cosi’ cresce abbastanza, non lesinate sulle dimensioni della cuscussiera.

Vino o birra a vagonate, e se proprio volete fare le cose ammodino salsa harissa, che e’ l’equivalente maghrebino del wasabi.

Buon appetito.

 

Barney

Vaccini e pistole

Volevo scrivere qualcosa sull’ennesimo ritorno di fiamma degli antivaccinisti, e qualcosa sulla legittima difesa. Due pezzi separati, ma mi sono reso conto che la questione e’ trattabile in un unico post.

Il succo di entrambi i ragionamenti, sia degli antivaccinisti che dei fautori della pistola libera, secondo me e’ identico: facciamo il cazzo che vogliamo. Nulla di piu’, nulla di meno.

Poi, certo: le due fazioni si attorcigliano attorno a discorsi di contorno, volti a supportare l’assunto principale. Ma il succo resta lo stesso: liberta’ di decidere da soli se una malattia esiste E come curarla da un lato, liberta’ di sparare a chiunque violi -armato o disarmato- la mia proprieta’ dall’altro.

I motivi per cui tali posizioni stanno rafforzandosi sempre di piu’ sono vari. Ad esempio l’ignoranza scientifica mista all’idea -o vaccata- che su Internet ci siano le risposte a tutte le domande (vale per i vaccini), oppure il fatto che -non fatemi citare per la centesima volta “Il complotto” di Will Eisner, su- in periodi di crisi basta trovare un capro espiatorio e dare tutte le colpe a lui per sentirsi gia’ meglio. Ci sono motivazioni anche piu’ serie e ben costruite, che alla fine pero’ portano al risultato enunciato poco sopra.

In una democrazia compiuta secondo me il cittadino alla fine deve cedere una parte della sua liberta’ personale a favore della collettivita’. Vaccini e pistole, quindi, in fondo in fondo non fanno altro che certificare la crisi cronica delle nostre democrazie.

Che poi, in fondo in fondo, sono lo specchio esatto della nostra attuale societa’.

RAmen.

 

 

Barney

 

 

Mai piu’ senza

Visti stamani in libreria, questi tre testi sono un indispensabile strumento sociale che non puo’ mancare nelle case degli italiani:

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Essendo tutti bilingue, non dovrebbe essere un problema tirar fuori le combo cane-gatto, gatto-cavallo e cane-cavallo e mi stupisco non ci abbiano ancora pensato: qualche genio che li compra si trova di sicuro.

 

Barney

Fall

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Come pezzo, ci ristarebbe bene Autumnsong, ma ne ho abusato.

Quindi mettiamoci qualcos’altro, da uno dei miei dischi culto (ma la registrazione non e’ quella del disco…):

 

Barney

Epic fail

Quando un’immagine vale piu’ di mille parole, e quando quell’immagine dovrebbe servire ad attrarre avidi avventori… Beh, meglio scegliere bene forma e colore, no?

Ice_Shit

Il tocco di classe definitivo sono le due virgolette, che riviste nel contesto “shit” invece che “coffee” somiglian tantissimo a mosche.

Il gelato li’ comunque non ce l’ho mai preso, ne’ mai ce lo pigliero’.

E la colonna sonora non puo’ essere che del Signor Merda, in una splendida doppia performance.

 

Barney

Michel Platini

No, il titolo e’ fuorviante. E’ solo che stamani in ottanta chilometri di autoroute francese, verso Orly, avevamo la radio accesa su un canale all news. E l’unica notizia che in un’ora e venti e’ passata a nastro riguardava lui. Pare che abbia perso l’appello e che rimanga sospeso per un po’ da non so quale carica UEFA o FIFA (o NASA).

La cosa buffa e’ che tutte le volte che e’ stato nominato (una media di almeno una ogni tre minuti, ma con punte di sette o otto al minuto) chiunque fosse a parlare lo chiamava Michel Platini. Nome e cognome, sempre.

Non credo ci siano tanti Platini famosi in Francia. Non mi risulta un Gaston Platini, una Fleur Platini, un TizioCaio Platini.

E allora perche’ sempre “nomeccognome”?

L’unica risposta sensata che m’e’ venuta mente e’ che per i francesi dire solo “Platini” e’ cacofonico. “Michel Platini” gli suona piu’ musicale.

Di sicuro quel canale (mi pare si chiami “Info”, sara’ una roba tipo IsoRadio) ha l’abitudine di martellare i maroni dei radioascoltatori con la solita notizia  mandata avanti a manovella per ore e ore. All’andata, grazie a ingorghi vari, il viaggio ha sfondato le due ore, e la radio s’e’ premurata di sfrangerci i testicoli con il nome del terzo kamikaze del Bataclan. Senza soluzione di continuita’. Ogni tanto la cosa si inframmezzava con previsioni e servizi sul secondo turno delle regionali di domenica, ma davvero poca roba: il terzo kamikaze (avevo anche imparato il nome,  ovviamente l’ho scordato, ma Google mi da una mano) imperava e riempiva l’etere.

Mah, ho quasi rivalutato il livello del nostro giornalismo, questa settimana…

 

 

Barney

La stessa, ma diversa

M’e’ venuto in mente sabato sera, mentre ero a sentire Federico Fiumani in splendida forma con i suoi Diaframma (il nome e’ lo stesso di trent’anni fa, i compagni di viaggio tutti diversi, la musica sempre quella, bellissima e inarrivabile per i cloni tutti uguali che oggi escono dai vari talent show), che ci sono molti brani con titoli simili o addirittura identici, suonati da tizi totalmente differenti, che raccontano storie diametralmente opposte.

Il pezzo che ha fatto scattare la molla nella mia testa (e che spiega come se avessi continuato ad andare dalla strizzacervelli forse oggi sarei messo meglio. O forse no, chissa’…) e’ stato il terzo del trittico classico d’apertura: “Siberia“, brano che lancio’ il gruppo decenni fa, la bellissima “Gennaio” e infine “Agosto“, chiaramente. Eccovela qua, un twist cazzone sulle ferie passate in casa con duemila giornali porno, a studiare le posizioni che Fiumani non conosce, che sono cosi’ tante:

C’e’ almeno un’altra “Agosto” che conosco (pero’ sono tante le canzoni che io non conosco, mi chiudero’ in casa con duemila copie di “Rolling Stone”, l’agosto prossimo), quella dei Perturbazione. Che sicuramente ho gia’ passato su queste frequenze, perche’ mi piace il pezzo e mi piace moltissimo il video. La canzone in realta’ ha sotto sotto lo stesso tono malinconico di quella dei Diaframma, si capisce che agosto e’ il mese piu’ freddo dell’anno per Tommaso Cerasuolo perche’ il mese s’affaccia su un cuore malato, e’ tutto ghiacciato anche se siamo nell’emisfero sbagliato. Malinconica come l’altra “Agosto”, pero’ qui l’approccio e’ cupo e triste, e non ci si ride addosso come fa Fiumani (che e’ veramente un personaggione, un lupo solitario anarchico e indifferente al mondo). Il video e’ -l’ho gia’ detto?- d’una dolcezza infinita e fa un po’ a cazzotti con il clima del pezzo:

Che volevo dire?

Nulla, per carita’.

Magari che il diverso agosto di Fiumani e Cerasuolo riflette anche le differenze di due generazioni, con ciascuna una sensibilita’ diversa ma non migliore o peggiore dell’altra. Diverse, ma uguali insomma.

Pero’ se all’omino del mio cervello viene in mente un altro paio di esempi, potrei inaugurare un’altra rubrica a cadenza rigorosamente casuale…

Barney