[Questo pezzo è stato scritto per e pubblicato su Cartaresistente, il 28 giugno 2013]
Ricordo ancora vividamente quando lessi la notizia su un modesto trafiletto annegato nelle cronache di un 1988 che ci avrebbe lasciato come episodi storici il sequestro Casella, gli Oscar a Bertolucci, e “er Canaro”.
Nell’anno del primo mandato presidenziale a un esponente della sciagurata famiglia Bush, il sedici di giugno moriva nelle campagne di Montepulciano Andrea “Paz” Pazienza, morto come era vissuto: troppo intensamente.
Ricordo la sensazione di perdita di un autore geniale, uno che davvero faceva di tutto con la matita e il pennarello, con il tratto e con le parole. E ricordo, tre anni dopo, lo stupore e la gioia nel vedere dal vivo moltissime sue tavole esposte a Siena.
Pazienza è il primo protagonista del parallelo di oggi, e lo è con la sua prima opera “seria”, pubblicata alla fine degli anni ’70 su Linus: “Pentothal”.
Il fumetto racconta secondo me meglio della sua ultima opera (“Pompeo”) sia l’epoca in cui Pazienza viveva, sia il suo demone interiore: la droga, da cui mai riuscirà ad allontanarsi del tutto. Spade, canne, polveri e alcool appaiono quasi ad ogni pagina del romanzo per immagini del Paz, che cambia registro con la stessa rapidità con la quale d’agosto cambia il tempo sull’appennino toscoemiliano, a specchiare probabilmente anche differenti umori dell’autore.
Oltre alla droga e allo sballo, oltre alle rivolte studentesche, al DAMS, a Bologna, alla politica di quegli anni terribili “Pentothal” racconta anche e soprattutto i pensieri e i sogni di Pazienza facendoli spesso narrare dal disegnatore stesso. Anche “Pentothal” è metafumetto ricorsivo come “Maus”, anzi lo è all’ennesima potenza: oltre che la vita di Pazienza l’autore cita stilisticamente un migliaio di mostri sacri del mondo dei comics: da Eisner a Moebius, a Magnus, a Crumb, a Toppi in un continuo gioco di specchi e di rimandi che danno la cifra della bravura a trecentosessanta gradi di Paz.
L’altro protagonista del parallelo di oggi è “Un oscuro scrutare”, casualmente pubblicato per la prima volta proprio nel 1977, lo stesso anno di “Pentothal”, e pietra miliare della produzione di P. K. Dick.
Dick ha scritto decine e decine di romanzi, ma questo racchiude in qualche centinaio di pagine tutta la tematica classica dickiana: la droga, le allucinazioni, la sostanziale impossibilità a definire cosa è reale e cosa no, la religione, le fobie, la società repressiva e in grado di controllare tutto quel che fa il comune cittadino.
La droga è qua protagonista assoluta, non esce casualmente e quasi gioiosamente dalle pagine come nel fumetto di Pazienza: la “sostanza M” è la vera star, e il tossico Bob Arctor (che ha anche una seconda vita come poliziotto antidroga sotto copertura) ne viene talmente condizionato che alla fine subirà conseguenze drammatiche dovute all’abuso della sostanza. Come ne “Il pasto nudo” di Burroughs (trasposto su pellicola da David Cronemberg), spesso le allucinazioni sono a tema entomologico, e sempre la causa esplicita è la droga.
È avvertibile in “Un oscuro scrutare” la differenza rispetto a “Pentothal” per quel che riguarda le conseguenze della tossicodipendenza che entrambi gli autori hanno provato: Dick ha superato – con pesanti conseguenze – la dipendenza, ha visto il baratro e in qualche modo è riuscito a uscirne; di questo pare scrivere e ammonire il lettore su quello che comporta l’abuso di droghe. Pazienza, almeno in “Pentothal”, pare ancora lontano dalla consapevolezza della morte, del pericolo che l’eroina porta con se. Quel pericolo che gli apparirà chiarissimo davanti in “Pompeo”, ma a quell’epoca, dieci anni dopo “Pentothal”, sarà troppo tardi.
“Pentothal”, Andrea Pazienza, Fandango Libri
“Un oscuro scrutare”, Philip Kindred Dick, Ed. Fanucci
Barney