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Josh T. Pearson, Livorno (1 dicembre 2018)

Il migliore commento che posso fare alla tragedia di Corinaldo di venerdì scorso è raccontare il concerto di Josh T. Pearson che ho visto e sentito sabato 1 dicembre, al Cage.

E’ stridente la contrapposizione tra un DJ set di un trapper nostrano e la performance dell’ex frontman dei Lift to Experience, che si presenta sul palco nudo del suo gruppo (che ha peraltro fatto un disco solo ma mostruoso), della sua barba da profeta e dei capelli alla Gesù Cristo, con un improbabile cappellino da pensionato della Florida e una Fender come unico strumento di lavoro.

Così come è stridente il confronto dei numeri, nudi anch’essi di fronte ai biglietti staccati per i due eventi: 600 o 1400 per Sfera Ebbasta che lancia una playlist, a malapena 30 (trenta, avete letto bene) per Josh che suona e canta con la sua voce da angelo del folk rock con io e i pochi over 40 presenti radunati a un metro da lui. Eccolo in uno scatto di Sebastiano Bongi, senza il cappellino:

jtp2018

L’ultimo disco del texano (che poi e’ il secondo di una carriera da schivo genio della musica) si intitola “Straight Hits!”, e sembra un nuovo inizio rispetto al favoloso “The Texas-Jerusalem Crossroads” di quasi vent’anni fa, unica opera dei Lift to Experience, ma pure rispetto al primo disco solista “Last of the Country Gentlemen”, di una decina d’anni fa. Sembra più diretto come dice il titolo, ma in realtà racchiude direi trent’anni di musica rock: dal folk all’indie allo shoegaze al blues, al country ovviamente. C’è di tutto, suonato bene e cantato da una voce che ha una espressività, una estensione e una potenza che chi è abituato ai talent del menga non potrà apprezzare, ma vale da sola il prezzo del biglietto. Come calore e intensità ricorda Jeff Buckley, ma continuate a guardare X-Factor, continuate…

Il concerto si è subito trasformato in un colloquio tra il cantante e i pochi fortunati presenti, con scaletta più o meno improvvisata e digressioni sui tempi che furono: “L’ultima volta che sono venuto in Italia c’era Berlusconi, come Presidente. Ora chi avete? Conti? And whattafuck is Conti? Ah, Conte. And whattafuck is Conte?”, un racconto della sua vita e uno sguardo triste e malinconico al passato che fu e che non tornerà.

Ecco: se capita (e per quest’anno non capiterà più) andate a sentire Josh, poi continuate a guardare i talent show sperando che esca fuori gente come lui. Tanto non succederà: la vita di plastica di The Voice o di Amici non forgia genii come invece fa il mondo vero, quello fuori dalla TV e dal bisogno di pagare un biglietto non per sentire cantare Sfera Ebbasta, ma per vederlo cambiare dei dischi.

Questo è Josh in versione Messia, 2011, canzone a tema:

 

 

Barney

Giorgio Canali e Rossofuoco, Livorno, 3/11/2018

Se cercate qua dentro trovate almeno altre tre racconti di concerti di Canali, e sicuramente di quelli cui io ho assistito ne manca qualcuno.

Non vi starò quindi a ridire per la millesima volta di andare a vederli dal vivo, i quattro residuati d’una musica che fu, né mi metterò ancora a glorificare Greco al basso, Dalcol alla seconda chitarra che a volte diventa la prima, e Martelli a pestare sulla batteria come se non ci fosse un domani. Ma il senso rimane quello: invece di ascoltare X Factor, o di scannarvi come è successo anche oggi per un biglietto di Vasco Bossi (il cantante dai capelli grassi, come cantavano i geniali Squallor) che costa un rene e vi da in cambio della roba incellofanata da grande distribuzione organizzata… muovete il culo, cercatevi le prossime tappe e andate fiduciosi ad assistere ad un concerto che quest’anno porta in giro il nuovo album di Canali: “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”.

Già il titolo vale il biglietto e il CD, l’ascolto vi precipiterà in una cupa atmosfera decadente, descritta con le parole crude e dirette di Canali: l’oggi, qua, in Italia. L’aggiunta della pioggia alla merda rende tutto coerente e chiaro: se poteva andar peggio, è andato anche a piovere.

Le undici tracce si aprono con “Radioattività”, una marcia militare in crescendo che da subito il tono al resto dei pezzi: attualità e amarezza, donne che non ci sono più e anarchia politica.

E nuvole, e pioggia.

“Messaggi a nessuno” è una canzone d’amore, finito ma sempre presente. “Piove, finalmente piove” è falsamente gioiosa: il ritmo porta a ballare, le parole graffiano e sono un racconto dell’Italia degli ultimi tre o quattro anni, in tre minuti e venti.

Poi c’è “Estaate”, che non è scritto male, è così, una ballata romantica, e poi due grandi brani rock, di quelli che non occorre la tastiera effettata o il sax, va tutto benissimo così: “Emilia parallela” (che chiaramente fa il verso ad Emilia paranoica dei CCCP), che suona così:

e che se la sentite dal vivo è un muro sonico fantastico con parole nel testo che vasco Bossi gli fa una sega, al Canali…

E “Mille, non più di mille”, un pezzo ruffiano, facile facile e di sicuro effetto che fa il paio con quello di prima:

E “Fuochi supplementari”, e “Danza dell’acqua e del fuoco” e altro, tutto in un disco che era un po’ non ne ascoltavo di così veramente belli. A mio insindacabile giudizio il miglior prodotto musicale italiano di quesrto 2018 Serpeverde.

Una menzione finale per Mattia Prevosti, giovane che ha aperto il concerto con un mini set di cinque canzoni, le ultime due suonate assieme a Canali e Dalcol. L’ultima è stata questa cover di “Shelter from the storm” tradotta neanche male:

 

Barney

Filosofia da muro #72 (hat trick: Pendolante)

Katia “Pendolante” M. colpisce ancora, spedendomi una foto a meta’ tra un graffito e una natura morta ferroviaria:

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E’ bella la definizione geometrica del tutto, ma la scritta e’ quella che mi ha fatto dire subito “la pubblico”. Non per il “Sav” finale, che potrebbe essere Saverio, ma per l’Ufo sopra. Inteso non come oggetto volante non identificato, bensi’ come il bassista della piu’ famosa band pisana, gli Zen Circus.

Scopro solo ora che Ufo ha anche un nome “vero”, Massimiliano. Ma davvero importa poco, il suo basso e’ elemento imprescindibile della musica degli Zen. E per tutti e’ Ufo e stop.

Un mesetto fa e’ uscito il nuovo disco degli Zen Circus, “La Terza Guerra Mondiale”, che suoneranno dal vivo a fine novembre al Cage. Se siete da queste parti, accorrete numerosi perche’ live i tre meritano sempre di essere ascoltati.

Altrimenti, godetevi (si fa per dire, visto il tema e il video) questa tremenda “Zingara (il cattivista)”. Alla fine del brano c’e’ la voce ricampionata del Colonnello Kurtz da “Apocalypse Now”.

Senno’ c’e’ sempre “Amici”…

 

 

Barney

 

Post Scriptum: l’idea di mettere i deliranti messaggi che si trovano a pacchi su Internet venne qualche anno fa anche a Gipi, che inseri’ l’ulteriore genialata di far leggere il tutto ad un sintetizzatore vocale. Il risultato e’ un capolavoro.

Filosofia da muro #56

Finalmente una orrenda foto fatta da me, dopo tanto:

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E’ il muro d’ingresso del Cage, a Livorno. Che sarebbe il posto dove vado a sentire il 90% dei concerti, e che quindi vedo solo di notte.

Tra le tag e i disegnetti del cavolo spiccano un paio di scritte leggibili: “Visitors” e soprattutto quella in alto, a malapena distinguibile dal caos di fondo: “Amarti che fatica“.

Non deve essere stato faticosissimo scriverlo, perche’ li’ sotto c’e’ un bel cassonetto della spazzatura, ma rende l’idea di un rapporto laborioso e impegnativo; quasi un lavoro, una routine da svolgere con attenzione per evitare problemi. E’ sicuramente una mano maschile, vado per statistica e per esperienza.

Come maschile e’ la colonna sonora, una delle canzoni piu’ famose cantate da Robert Palmer ma che in realta’ e’ una cover di tale Moon Martin che nessuno prima conosceva… Gran pezzo.

 

Barney

Giorgio Canali & Rossofuoco (The Cage, 17/04/2016)

Non e’ che ho smesso di andare a concerti, eh? E’ che son pigro, e quindi non e’ che posso raccontare sempre tutto. Ma quando ascolto dal vivo Canali qualcosa lo devo scrivere.

Intanto, ancora una volta non si capisce perche’ la gGente non abbia fatto a cazzotti per i biglietti, iersera. La Bandabardo’ ha fatto il sold out, come i Cani qualche settimana fa. Giorgio Canali e i Rossofuoco hanno riempito tre quarti del Cage, pero’ raramente ho visto uscire all’una e mezza del mattino spettatori cosi’ esaltati e soddisfatti dallo spettacolo come ieri.

Non e’ che ci voglia un’occasione particolare per un tour per questi qua, ma da qualche settimana e’ uscito un nuovo disco dello spettrale ex-chitarrista dei CCCP-C.S.I.-PGR e del suo attuale gruppo, ed e’ un disco di cover di pezzi mediamente ignoti ai piu’, che spazia su vent’anni e oltre di musica underground italiana. Il titolo e’ gia’ una garanzia: “Perle per porci“. Si, c’e’ anche una incredibile versione di “Le storie di ieri” di De Gregori (gia’ inserita anche da De Andre’ in uno dei suoi dischi, ve la trovate in fondo), ma poi Canali ha pescato nelle primissime edizioni di Eugenio Finardi (F104), nel primo Cd di Le luci della centrale elettrica (Lacrimogeni), e nelle registrazioni di altra gente sconosciutissima che merita evidentemente di essere riscoperta. Qua c’e’ la presentazione del disco scritta direttamente dal chitarrista di Predappio; potete anche acquistarlo (fatelo!).

Ieri sera la band era al completo, con Steve Dalcol a fare egregiamente da seconda (??) chitarra, e una Angela Baraldi in formissima che si e’ cantata la sua perla (Mi vuoi bene o no?) e s’e’ prestata per un altro paio di brani assieme ai Rossofuoco. Alcune foto della serata le rubo spero con permesso da Sebastiano Bongi Toma’:

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Il suono non ve lo posso riprodurre. Dal vivo i Rossofuoco sono eccezionali, Martelli e’ tra i migliori batteristi in giro e Dalcol da’ alla chitarra di Canali un supporto enorme. Marco Greco tiene su il tutto col basso, e l’energia che scaturisce dalla band e’ qualcosa da provare.

Un’idea di come ha lavorato Giorgio sulle canzoni pero’ ve la do’.

Questo e’ il pezzo originale, la band si chiamava Frigidaire Tango, e ci suonava Stefano Dalcol (quello a destra nell’ultima foto qua sopra). Il brano si chiama “Recall“:

Canali lo traduce in italiano e lo reinterpreta cosi’:

 

Questa qua invece la conoscete tutti.

Versione originale:

Versione-Canali&Rossofuoco:

 

Vabbe’, andateli a sentire che non ve ne pentirete di sicuro.

 

Barney

 

Kaki King, The Cage (Livorno, 28 novembre 2015)

Il concerto di ieri sera non si puo’ raccontare facilmente, quindi consiglio subito di beccare Kaki King in giro (ha altre tre date in Italia, da stasera a mercoledi’, poi se ne torna negli USA), o di comperare “The neck is a bridge to the body“, il suo ultimo disco che poi e’ questo show che ha fatto ieri sera. Che e’ si un concerto per sola chitarra elettrificata (come sempre una Ovation, stavolta tutta bianca come di bianco veste lei sul palco), ma e’ pure un film, che si proietta su uno schermo dietro Kaki, e sulla sua chitarra. I due video sono diversi, e la chitarra “comanda” le sequenze proiettate. Ah, la chitarra e’ immobile sul palco, piantata su due ritti di metallo, perche’ la proiezione su di essa deve essere precisa al millimetro. E infatti non c’e’ una sbavatura di colore sul bianco del vestito della chitarrista.

Ve l’avevo detto: non si puo’ spiegare, va visto. Guardate quindi un pezzo di “The neck” fatto ad un TED quest’anno:

 

E come non si puo’ voler bene a questa ragazza, quando come ieri sera finisce il concerto con un pezzo dedicato alla Missione ESA “Rosetta-Phylae” sulla cometa 67P?

 

Barney

 

Life, the universe and everything

Dopo i morti di Parigi di ieri e’ uscito fuori il peggio da moltissimi e il meglio da qualcuno, troppo pochi rispetto alla massa. Sono rimasto impressionato -come mi succede spesso- dalla compostezza, compattezza e forza dei francesi. Questa foto qua sotto, presa da Repubblica, riepiloga bene lo spirito transalpino con quel cartello scritto a mano verso la destra (no, non “L’horreur”, l’altro…):

pas peurHanno gia’ avuto la strage di Charlie Hebdo, pochi mesi fa, e adesso questo assalto alla vita di persone inermi, che cercavano solo un po’ di svago al ristorante, in una sala concerti o allo stadio.

Cercavano, insomma, un po’ di divertimento per rilassarsi ad inizio fine settimana.

Stasera andro’ al mio Bataclan, il Cage di Livorno. In genere scelgo chi andare a sentire, ma stasera ci vado a prescindere, perche’ mi sembra giusto dare un segnale microscopico a questi idioti col fucile in mano: non dobbiamo avere paura. Nemmeno essere incoscienti, ma se i terroristi dell’Asciugamanistan riescono a trasformare le citta’ in fortezze, i teatri in luoghi dove per entrare fai un security check che neanche all’aeroporto, gli stadi in lager dove si entra tre ore prima e si esce il giorno dopo l’evento, beh, allora hanno vinto loro.

Io non so se riuscirei a sparare a qualcuno, magari costretto si. Le mie armi in questa guerra (perche’ oramai e’ guerra, non c’e’ da dubitarne) sono la mia coscienza e i miei comportamenti. Finche’ ne avro’ la possibilita’ faro’ di tutto per combattere la paura e l’ignoranza dei terroristi talebani con una risata, un paio di birre doppio malto e della buona musica.

In culo a loro e al loro dio ignorante.

Barney

Andrea Appino, The Cage opening event 2015 (Livorno, 3 ottobre 2015)

Un pisano -seppure trapiantato a Livorno- che apre la stagione del Cage e’ un evento, e ieri sera in moltissimi hanno riempito il teatrino di Villa Corridi, tanto che era difficile anche muoversi. Il cantante e chitarrista degli Zen Circus ha prodotto quest’anno il suo secondo album solista, “Grande Raccordo Animale”, molto diverso dallo splendido “Il Testamento” di un paio di anni fa, ma che dal vivo fa un effetto diverso, e dai due dischi ha estratto quasi un paio d’ore di musica con pezzi tiratissimi ben oltre la loro durata in registrazione, incattiviti dalla batteria potente e metallara di Rolando Cappanera (maestoso, uno spettacolo nello spettacolo) che nel finale proprio sembrava non volere smettere di picchiare sui tamburi, da Francesco Pellegrini alla chitarra ma anche al fagotto in una versione soft di “Godi adesso che puoi” da brividi, ed infine da Enrico Amendolia al basso.

E’ stato privilegiato di piu’ l’ultimo album, fatto quasi per intero, ma le chicche migliori Appino le ha riservate pescando il meglio del Testamento, da “Che il lupo cattivo vegli su di te” alla gia’ citata “Godi adesso che puoi”, per finire con “Il Testamento” e con una liberatoria “La festa della liberazione” che ha chiuso il set estendendosi ben oltre i limiti del pezzo.

Lo consiglio, Appino solista: e’ molto diverso dagli Zen Circus ma non e’ mai banale nella scrittura dei testi e nella musica. Con questa band poi e’ veramente rock di quello buono.

Qua sotto un tris di assaggi da concerti recenti:

Il testamento (dedicata a Mario Monicelli):

Godi adesso che puoi:

La festa della liberazione (non riesco a trovare una versione “di gruppo” decente. Si: e’ “Via della poverta’” di De Andre’ rifatta. Ma anche quella era “Desolation row” di Dylan, rifatta…):

Barney

In fondo, suona. Livorno Music Awards 2015

“In fondo, suona” e’ un libro dell’anno scorso che racconta trent’anni di musica a Livorno. L’ho comperato alla scorsa edizione dei Livorno Music Awards, che detta cosi’ sembra la sagra del tortello col ragu’ d’orso di Bergamo Alta, e invece e’ una serata di gran bella musica -che coincide con la chiusura estiva del Cage Theatre almeno per quel che riguarda le serate del sabato-. Il Cage e’ un posto da vivere, se vi capita di essere in zona nelle fredde serate invernali o in quelle primaverili, ma questo ve l’ho gia’ detto millanta volte.

Anche il libro sarebbe da leggere, c’e’ addirittura sulla Feltrinelli online e penso sia una bella lettura anche per chi non e’ cresciuto a pane e Bobo Rondelli, con le chitarre dei Cappanera e i testi dei Virginiana Miller.

Ma sarebbe la scena musicale livornese a dover essere esplorata a fondo: grazie ad un meltin pot che si perpetra da secoli (e alla vicina base NATO di Camp Darby), Livorno e’ quel che per gli USA e’ stata Seattle. Per intenderci: a Livorno, musicalmente parlando, Milano gli fa una pippa.

Cerchero’ di convincervi con un po’ di protagonisti della serata di sabato. Iniziamo con roba che non ascolto mai: musica elettronica. Questo qua sotto e’ un progetto di due livornesi emigrati a Berlino, uno fa il DJ e mixa le composizioni al piano dell’altro:

Questo invece e’ Jackf, alias Carlo Bosco, che si e’ esibito dal vivo con il supporto di una cantante -ovviamente- livornese bravissima, Elisa Arcamone. Sempre elettronica lounge, direi:

Questi qua sotto sono giovanissimi, ma molto, molto bravi: i Siberia (diceva il presentatore che il nome deriva da “L’educazione siberiana”, io speravo fosse un omaggio a Fiumani…). Un po’ troppo Vasco Brondi forse, ma secondo me son molto meglio dal punto di vista dei testi.

[Come potete vedere, il loro set e’ stato interrotto prima dell’ultimo pezzo dal batterista che s’e’ alzato, e’ andato al microfono ed ha dedicato l’ultimo pezzo alla nonna, venuta appositamente da Roma per sentirlo suonare].

Livorno e’ piena anche di ottimi videomaker, a cominciare dai fratelli Bruciati e finendo con Ambra Lunardi vincitrice del premio “miglior video 2015”, che mi permette di presentare i Mandrake, altra notevole band labronica che canta in inglese e fa pop rock di livello, altro che Amici e X-Factor:

Miglior album livornese del 2015 e’ stato votato “Believe nothing” dei Bad Love Experience, una band che fa parte della “vecchia guardia”:

Evito di andare troppo avanti perche’ altrimenti non la finisco piu’, pero’ non posso non segnalare il canale Youtube “Livorno Acoustics“, che raccoglie i frutti dell’omonimo progetto, ovvero una serie di performance di artisti locali che cantano unplugged in luoghi della citta’ che meriterebbero un recupero o una valorizzazione. Qua sotto ancora i Siberia a villa Maurogordato:

Questa invece e’ Frances Manteri Farmer fuori dalla ex fabbrica Pirelli:

Il progetto prevede una intervista a ciascun artista e un backstage fotografico veramente interessante. La parte “non sui social” e’ qua, il resto su faccialibro (credo).

Barney

Diaframma, The Cage Theatre (Livorno, maggio 2015)

(C) 2015 Barney Panofsky

(C) 2015 Barney Panofsky

Fiumani percorre i binari del rock post punk da trentacinque anni, e per fortuna non s’e’ ancora stufato di sudare e schiaffeggiare la sua Stratocaster Telecaster (eccheccazzo, ero certo di avere scritto Tele invece che Strato!). Con quelli che adesso formano i Diaframma s’e’ concesso in un set tiratissimo e pogatissimo da chi c’era (molti fiorentini, dagli accenti che si sentivano in giro). I capelli sono sempre piu’ grigi, ma il taglio e’ quello del 1980, cosi’ come la voce e l’energia che Fiumani scatena sul palco. E’ stato bello vedere ventenni brufolosi che cantavano a squarciagola tutti i pezzi, accanto a cinquantenni che con quella musica ci son cresciuti! Dai, c’e’ un briciolo di speranza… Barney