Va visto, punto. Assieme a “Parasite” uno dei più bei film degli ultimi tempi, ma con in più l’azzardo di trattare una materia delicata come il nazismo con un sarcasmo che “La vita è bella” se lo sogna. E con una colonna sonora fantastica.
Jojo Rabbit parte con “Komm gib mir deine Hand” che accompagna, nel 1945, il protagonista -un imbranato decenne austriaco invasato del Reich- ad un campo di addestramento della Gioventù Hitleriana. E il pezzo altro non è che “I wanna hold your hand” dei Beatles cantata dai 4 di Liverpool in tedesco. Sui titoli di testa scorrono in sincrono con la musica spezzoni originali dell’epoca, con le mani che sventolano e si rizzano nel saluto al Fuhrer a tempo con i coretti dei fab four, e le gole che urlano altrettanto a tempo.
Si prosegue con lo stesso campo, e con i bimbetti impegnati in improbabili scalate con le corde, e la musica ora è “I don’t wanna grow up“, versione originale di Tom Waits.
E non vi dico null’altro del resto, se non che il finale è bellissimo e vede i due piccoli protagonisti ballare sulle note di “Helden“, che ovviamente è “Heroes” di David Bowie (la versione che sta nella colonna sonora di “Christiana F.”, insomma).
Commuove e fa ridere, “Jojo Rabbit”. E fa pensare a quanto folle sia stata quella carneficina, a quale livello di idiozia ci fosse dietro la guerra e lo sterminio degli ebrei.
Che -come scoprirà Jojo- non hanno nè corna nè coda.
Randomguy sta popolando la città per vecchi di bei pezzi di filosofie da muro. Questa che vedete sotto è in via Sant’Andrea, ad un angolo altrimenti anonimo seppure non privo di storia e di segni del tempo:
Il graffito adesso ha al posto della firma una etichetta con il titolo, non difficile da indovinare: “Modern love”, e quella roba che ci sta sopra non è opera del Banksy de noartri.
Sarà facile anche indovinare il brano qua sotto, visto il titolo della filosofia…
Il 24 dicembre ha chiuso il penultimo negozio di dischi rimasto a Lucca, “Telerecord”, che è stato il negozio in cui ho comprato il mio primo LP. Non era un negozio specializzato in musica rock, anzi, ma le robe serie le aveva sempre, e in vetrina da credo quarant’anni campeggia uno stinto adesivo in cui prima c’era scritto “Talking Heads”, ma “Heads” adesso non si legge più, e comunque chissà per quanto durerà, quell’adesivo, ora che è tutto chiuso.
A quanti sarà interessato sapere che Telerecord -per prenderlo ad esempio di uno qualunque dei negozi di dischi che ogni giorno, nel mondo, smettono di essere negozi di dischi- ha chiuso i battenti per sempre?
Non credo a moltissimi: qualche giorno fa slashdot mi ha avvertito che “Best Buy” (che sarebbe il “MediaWorld” degli USA) ha deciso di non vendere più CD musicali, tanto oramai la musica si ascolta in streaming, o si compra -anche qua sempre meno- su iTunes. I numeri sono impietosi, li copio dal servizio di Rolling Stone che da il quadro complessivo:
Come si capisce leggendo l’articolo è proprio il commercio di musica ad essere in crisi: quel che resta è in pratica solo streaming, oltre a due dinosauri del Giurassico, i vinile e le audiocassette. Ma il raffronto dei numeri segna veramente un baratro tra quanti MILIARDI di canzoni sono state ascoltate in streaming, e quante fisicamente o virtualmente sono poi state acquistate.
Mi sembra che questo fenomeno sia solo una punta di un enorme iceberg: la stessa cosa si può per esempio affermare per il cinema Vs. ancora lo streaming, o per le librerie Vs. Amazon/gli ebook, le agenzie di viaggio Vs. Internet, e via andare.
Per il virtuale fruito “mordi e fuggi” e “aggratis” Vs. il possesso fisico di un bene, insomma.
E’ una guerra oramai perduta, secondo me, in cui il bene o servizio elettonico ha vinto alla grande per tanti motivi: è immediatamente fruibile, trasportabile ovunque, non impegnativo in termini di logistica (ossia, ad esempio: non richiede librerie o scaffali per essere “collezionato”) e soprattutto enormemente più remunerativo per chi con questo bene elettronico alla fine fa i soldi. Ora, chi davvero fa i soldi in questo scenario e’ il gestore del servizio, non certo l’autore della musica/del libro, e chi gestisce il servizio ha il totale controllo di tutto il processo. Che poi i soldi il gestore li fa con i servizi accessori, ossia con la pubblicità.
Tutto molto triste; io continuerò imperterrito a comperare CD finchè se ne venderanno, e ad andare al cinema per vedere i film che mi interessano, nella donchisciottesca consapevolezza di essere di fronte a invincibili mulini a vento.
E siccome sono coerente come Luigi Di Maio, chiudo con lo streaming di Ziggy Stardust.
Quando sono in macchina con mia figlia è una continua lotta su cosa ascoltare in sottofondo alla radio. I gusti sono diversi quanto le decine di anni che ci separano, e solo l’autorità di pilota (prima che di padre) mi permette a volte di vincere il tiramolla.
L’altra sera ero riuscito a imporre semi-democraticamente una stazione rock, e a un certo punto mia figlia mi propone un patto: se non avesse indovinato l’autore del pezzo successivo avrebbe cambiato e scelto lei la stazione.
Mi aspettavo che giocasse a ciapanò, e che sbagliasse per passare a qualche stazione piena di brani usciti dal talent show di turno. E invece ha indovinato, con suo dispiacere -ma mio immenso piacere-, immediatamente il cantante.
Il brano era precisamente questo:
Precisamente nel senso letterale: quell‘interpretazione di quel brano.
E’ chiaro che la cura Ludovico che le impongo dà i suoi frutti, ma tutto sommato credo che non le sia dispiaciuto sentire Bowie.
Alla fine del pezzo mi ha stupito ancora di più. Ha esordito affermando che molti giovani votano Salvini, e mi ha chiesto perché, secondo me, succede questo.
Non c’era rimasto molto tempo, eravamo vicini a casa, e ho quindi sintetizzato al massimo la risposta: perché viviamo in un mondo di semplificazioni, in cui le risposte semplici a problemi complessi -magari date con un tweet o una foto- sono le uniche cose che la gGente ascolta. E pensa di capire.
Un po’ come per la musica: più facile ascoltare la roba standardizzata di oggi, pezzi che durano due minuti in cui nessuno suona qualcosa di simile a uno strumento e dove le parole sono “raga, frate, lama”, piuttosto che uno “Ziggy Stardust” dove se manca il basso te ne accorgi (almeno, io me ne accorgo).
Tutto questo mi ha poi fatto pensare che in realtà quel che han fatto Salvini e Di Maio è stato prendere il posto di quell’istituzione che per millenni di mestiere faceva solo quello: dare risposte semplici a problemi complessi: la religione, che oggi è più o meno in crisi come il PD.
Lega e M5S hanno semplicemente riempito un vuoto di risposte e -se vogliamo- di speranze. Sono stati aiutati da decenni di stordimento culturale a botte di televisione, social media, serie tv e reality show, e sono stati perfettamente in grado di capire il momento ed entrare in scena. La modalità acritica con cui qualsiasi cazzata dicano i due vicepremier viene digerita dall’elettorato a me ricorda l’accettazione prona ed ottusa del miracolo del sangue di San Gennaro, che in effetti essendo materia di fede non può essere approcciato con la ragione. Esattamente come il decreto “dignità”, quello “sicurezza” e la perla finale dell'”abolizione della povertà”: se ti fermi a riflettere sul contenuto ti accorgi per forza che sono cazzate, quindi devi crederci a prescindere, come a prescindere devi credere che i mali del nostro paese sono solo gli immigrati o la Merkel.
Daniele Caluri ed Emiliano Pagani, due fumettisti livornesi, hanno portato in giro per anni uno spettacolo vagamente riconducibile ad uno dei loro maggiori successi, “Don Zauker”. In una delle ultime rappresentazioni che ho visto i due hanno spiegato perfettamente il concetto, applicandolo alla religione. Ma vedrete che la cosa è identica se il contesto diventa politico.
L’esempio è questo. Se uno ti chiede “come mai l’erba è verde?”; tu puoi rispondere in maniera scientifica e parlare di lunghezze d’onda della luce, dell’assorbimento di alcune lunghezze d’onda e della riflessione di altre. Ma nel 90% dei casi il tuo interlocutore si rompe le balle alla terza parola, oppure inizia a chiedere ulteriori spiegazioni a catena, finché tu non crolli.
La risposta della religione è invece apodittica ed autoconclusiva: “perché il Signore ha voluto così”.
Punto, partita chiusa, si passa ad un altro argomento. La cui eventuale risposta sarà comunque “perché il Signore ha voluto così”.
Una volta la religione funzionava, perché i bisogni -e le domande- erano semplici.
Adesso il mondo è complicato, e le questioni sul tavolo sono molteplici: dalla crisi mondiale alle figure di guano della nazionale italiana di calcio, passando per il ponte di Genova, il riscaldamento globale, l’ultima stagione di Games of Thrones…
Troppa roba, troppo complessa ed eterogenea.
Le risposte possibile a questa serqua di problemi complessi?
“I negri”. “Gli zingari”. “L’Europa/L’Euro/Macron/La Merkel”. “E allora il PD?”. “Prima gli italiani”. “Radici culturali comuni” (in realtà quest’ultima è in disuso perché è troppo complessa).
Come se ne può uscire?
Guardate, una buona partenza è fare ascoltare ai vostri figli David Bowie…
Come no? Ieri la notizia principale sui media italianiera Zuckeberg che al Congresso ha fatto ammenda della leggerezza con cui Facebook ha stretto accordi con Cambridge Analytica (e in una botta sola le azioni dell’azienda di Menlo Park hanno riguadagnato quasi il 5%).
Oggi per caso ho acceso la tv su Rai1 alle 20, e nel sommario tra le notizie principali del tg c’era quella del cane abbaione che -grazie ad una petizione bBobolare- e’ stato liberato dal canile di Sarcazzo di Sotto (giuro che e’ vero).
Adesso capisco quegli strani bagliori che tempestano le strade cinesi di notte, quando passi con la macchina sotto tralicci stracolmi di telecamere: ti fanno il flash come con l’autovelox, ma di continuo, anche se il limite non lo superi.
E se questo non bastasse a far capire che il problema non è Zuckeberg, c’è quest’altra notizia sempre dalla Cina: controllo attraverso riconoscimento facciale delle minoranze musulmane [1], e allerta automatico alla polizia se uno della minoranza si allontana troppo dalla sua “safe area”, la riserva indiana in cui può stare liberamente.
Fuori no, chissà cosa può combinare.
Se comunque siete tra quelli che credono che il male sia solo Cambridge Analytica (che è il male, ma solo perché l’end user inetto gli da i dati…), leggetevi questo pezzo che spiega come si derivano -dalla serqua di quizzettini del cazzo che impestano Facebook- importanti e pregiati tratti della vostra personalità.
Poi, come sempre, condividete.
Su Facebook.
[1] incredibile, ma ci sono posti nel centro e nord della Cina in cui ci sono moschee che neanche alla Mecca. Lanzhou -che è una delle mie mete di lavoro-è uno di questi.
Leggo parecchio, e come qualcuno può aver notato leggo soprattutto fantascienza. Oggi, in pausa pranzo, mi sono trovato come sempre a leggere, e come succede spesso leggevo fantascienza.
Il libro -di cui forse parlerò quando lo finisco- è “New York 2140”, per la cronaca. Ma adesso è un particolare irrilevante.
Un collega mi chiede cosa leggo, e poi commenta che a lui la fantascienza non piace perché da una visione del futuro spesso angosciante ed eticamente discutibile.
Io ribatto che invece il bello della fantascienza è che ti apre il cervello al pensiero laterale, e comunque spesso la realtà attuale supera la fantascienza di soli dieci anni fa.
Un po’ come è successo per la satira al tempo di Berlusconi: superata a destra dagli eventi di tutti i giorni, il genere è andato in declino per anni, ripigliandosi solo da Renzi in poi.
Finito di pranzare, e in attesa che la teleconferenza interrotta all’una e mezza riprendesse (si sarebbe poi protratta fino alle cinque, per la cronaca…) mi metto a leggere notizie in rete, e mi capita sott’occhio di nuovo slashdot, con questa news qua.
Siamo in Cina, a Shenzen, ridente borghetto di dodici milioni di persone dalle parti di Hong Kong, e gli incroci sono controllati da telecamere ad alta definizione. Le telecamere riprendono i pedoni indisciplinati che attraversano fuori dalle strisce o col rosso, e una intelligenza artificiale riconosce i visi, gli affibbia un nome, risale al codice fiscale (al suo equivalente cinese, insomma) e poi –ora– proietta la gigantografia del viso su maxischermi nei pressi degli incroci, con il nome dell’attraversatore e -immagino- una sobria reprimenda. I cinesi sono severi ma educati, per queste cose.
Una gogna mediatica on line in tempo reale, gestita da un software e da tonnellate di telecamere HD. Che ti beccano e ti riconoscono al volo in una città di dodici milioni di persone.
Oggi, non in “New York 2140”.
Pare che il sistema nei primi dieci mesi di attività abbia pizzicato e identificato quasi quattordicimila persone in un unico mega-incrocio in centro.
Ora per abbassare i costi del sistema, le autorità cittadine stanno passando dalla gogna mediatica -che richiede il maxischermone gigante, che costa un botto- all’SMS personale, che arriva all’istante sul cellulare dell’infrangitore della legge stradale. Ad ogni tot messaggini che ti arrivano, perdi punti-società, il che significa che non ti daranno il mutuo per la casa, o che pagherai più tasse. O magari peggio…
Se lo fanno a Shenzen con dodici milioni di persone, che ci vorrà mai a tirare su un sistema simile che controlla tutta l’Italia?
Nel frattempo che il sistema venga esportato (magari con il modello di “democrazia” cinese) godiamoci gli ultimi giorni di libertà che ci concede Microsoft. Dal 1 maggio, infatti, può succedere quel che raccontavo ieri con le sex performers e Google Drive, ma su Skype e Outlook, e senza bisogno di contenuti porno. Basta parlare sboccato o insultare e può partire la censura.
La foto e’ stata scattata a Pisa da uno Spezzino espatriato a Barcellona, a dimostrare la confusione che regna sotto questi cieli:
La scritta e’ impreziosita dall’omino col megafono; l’omino (spesso con palloncino rosso) e’ una presenza comune sui muri pisani e pur non essendo frutto di Michelangelo ha una sua bellezza. Molto meglio il graffito che la toppa sul muro in alto a destra, per dire.
Buona anche la calligrafia, e molto apprezzata da me la scelta dell’inchiostro verde. Sul contenuto non c’e’ molto da dire, se non che lo “stirare” si potrebbe prestare a doppie interpretazioni. La C finale di Copyright, a mo’ di firma, sembra rivendicare l’originalita’ del pensiero, ma forse e’ solo la tag del writer.
Il pezzo oramai l’avevo in mente. Sarebbe per un’altra filosofia da muro, ma e’ come l’omino col megafono: una presenza abituale qua dentro.
Ieri, girovagando per le poche librerie rimaste aperte a Lucca alla ricerca degli ultimi regali, mi sono imbattuto in questa roba qua:
La faccia del povero Terrier (o altra razza di cane da calcio) in copertina la dice lunga su quanto questi 15 pratici progetti a maglia faranno contento il nostro povero amico a quattro zampe. Se non sbaglio la bestia disperata si trova sui binari di un trenino, in attesa della locomotiva che porra’ fine alla sua sofferenza e alla vergogna di dovere indossare un cazzo di cappottino fatto dalla padroncina.
Speriamo almeno che oltre al cane ella non abbia pure figli, che gia’ mi immagino come lo stesso progetto “Jack Russell” si possa abbinare anche al povero figliolo di tre anni, con l’effetto “pendant” da ricovero coatto in psichiatria per la signora sferruzzante.
Non l’ho comperato, tranquilli: non ci sono persone che disprezzo cosi’ tanto.
Stamani, quando letto la notizia ho pensato subito a una presa in giro di qualche sito del cazzo.
Invece no: in dieci secondi e’ arrivata la conferma che David Bowie era davvero morto, a qualche giorno dall’uscita del suo nuovo album che rimane un capolavoro, anche se adesso sara’ visto piu’ come un testamento -e lo e’- che un disco di musica rock -e lo e’, ed e’ splendido a prescindere-.
Le morti famose non mi smuovono piu’ di tanto in genere, ma Bowie e’ una rara eccezione.
Da anni speravo contro ogni logica che riprendesse a fare concerti, e che tornasse al Summer Festival a cantare. Perche’ io quindici anni fa lo persi, e questo sara’ per sempre uno dei miei rimpianti.
Come mai mi piacesse un cantante come lui non e’ neanche tanto difficile da spiegare: ho sempre visto Bowie come un alieno nel mondo della musica. I suoi due occhi diversi, la sua faccia da eterno bambino (almeno fino a cinque o sei anni fa), i suoi capelli biondi col ciuffo, quell’algido distacco che mostrava in tutte le performance che m’e’ capitato di vedere in rete… Mi rivedevo nel cantante poliedrico e polimorfo, in grado di passare dal rock and roll di “Rebel, rebel” al pop raffinato di “China girl” (io che odio il pop ho amato alla follia China girl), da ballate stracitate qua dentro come “Space Oddity” a pezzi epici come “Heroes” (abusatissimo oggi in tutte le salse, e gia’ il duca bianco si rotola nella tomba…), dalla ambiguita’ sessuale al matrimonio con la splendida Iman. Dieci vite in una sola, tutte vissute con distacco britannico e classe da gentleman francese. Dieci vite come tu vorresti che fosse la tua, insomma.
Rispetto alla recente morte di Lemmy dei Motorhead l’impatto emotivo per me e’ stato enormemente differente, e non basta il fatto di non avere mai sopportato piu’ di tre brani heavy metal di fila per spiegare le differenze. Un po’ come quando morirono Lucio Battisti e Fabrizio de Andre’, insomma. O John Entwistle e qualsiasi altro bassista vi venga in mente.
Si, ho detto “qualsiasi”.
Mi dispiace veramente sia morto Bowie. E confesso che il dispiacere e’ piu’ egoistico, per non potersi piu’ aspettare una genialata dall’artista, o un concerto a sorpresa, che per la morte dell’uomo.
Ma questo credo sia vero sempre: la parte egoistica penso la faccia sempre da padrone sulla pietas.
Stronzo? No, solo onesto con voi, miei due lettori.
Che altro devo dire? Che Space Oddity cantata da Happy Rhodes mi fa sempre piangere?
Che oggi tutte le volte che mi trovavo da solo mi mettevo a canticchiare “The man who sold the world”?
E’ uscito l’altro giorno il singolo “Blackstar“, che anticipa di un paio di mesi l’omonimo album di David Bowie. Il pezzo e’ strano, lunghissimo per i gusti dell’ascoltatore medio attuale (quasi dieci minuti…), avvezzo a canzoncine da treminutiemezzo al massimo, cambia continuamente registro e musicalita’ (al primo ascolto volevo spegnere tutto, ma se si superano i primi 4 minuti, e magari poi lo si riascolta un paio di volte, le cose si evolvono in positivo) arricchendosi man mano che va avanti e lascia le dissonanze quasi jazzistiche dell’inizio.
Il video e’ altrettanto spiazzante: molto bello, molto inquietante, molto disturbante -per me- in alcune parti, soprattutto quelle in cui i ballerini sembrano tarantolati e si muovono a scatti (odio questi movimenti a scatti, che ci volete fare?), eccolo qua:
Basta avere retto per un par di minuti che ci si imbatte in quello che -per me e l’omino del mio cervello- e’ sufficiente a giustificare il titolo del post e ad anticipare un altro par di brani (in realta’ tre) del Duca Bianco.
Per gli idiosincratici di youtube, la cosa di cui parlo e’ una tuta spaziale che si presume debba contenere un astronauta, seduto sul terreno spoglio di un pianeta sconosciuto. La ragazza con la coda che si avvicina alla tuta e apre il visore del casco ci fa scoprire che il legittimo proprietario e’ morto da eoni, il suo teschio in bella mostra annerito dal tempo ma imbellettato da pietre preziose varie che ne incastonano quasi ogni centimetro.
E siamo arrivati al punto: di chi potrebbe mai essere il corpo di quell’astronauta sperduto su un lontano pianeta? Siamo dentro ad una canzone di Bowie, e a me (e -prima che a me- all’omino del mio cervello) e’ venuto in mente subito il Maggiore Tom, lo sfortunato protagonista di “Space Oddity“, “Ashes to Ashes” e anche di “Hallo, Spaceboy”.
La storia di Tom che si perde nello spazio per un guasto della sua astronave scomoda come una lattina la conoscono tutti, eccola di nuovo su questi schermi per la sessantesima volta, in una versione che ci testimonia quanto il pezzo -scritto nel 1969- debba a “2001 Odissea nello Spazio”:
La sorte del povero Maggiore Tom e’ cantata di nuovo da Bowie una decina di anni dopo, nella splendida “Ashes to ashes“, che gia’ dal titolo ci fa propendere per una finaccia per l’astronauta sperduto:
E mica e’ finita qua, eh? Perche’ quindici anni dopo Mr. Bowie ci torna sopra, con “Hallo, Spaceboy“, qua dal vivo in tutta la sua energia:
E vent’anni dopo “Hallo, Spaceboy” c’e’ la tuta con il teschio tempestato di diamanti di “Blackstar”. Che pero’ in molti dicono essere stata scritta contro l’ISIS, a denunciare la caduta delle religioni nel fondamentalismo. Magari e’ cosi’, magari anche la stella nera che fa da copertina al disco a quello vuole ammiccare.
Ma per me e per l’omino del mio cervello e’ l’ennesimo capitolo della storia di Tom, disperso nello spazio e morto in solitudine su chissa’ quale pianeta lontano.
Fossi uno strizzacervelli, impazzirei per dare un significato a tutto questo.
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)