Non so quanti siano attualmente i sopravvissuti ai lager nazisti della seconda guerra mondiale, ma ogni giorno sono sempre drammaticamente meno: il tempo gioca contro di loro, e la necessita’ di mantenere il ricordo, la memoria di quello che è successo è – a maggior ragione – un dovere per ciascuno di noi.
I due libri del parallelo di oggi sono libri della memoria: raccontano le storie di due sopravvissuti, una narrata direttamente dallo scampato Primo Levi, l’altra disegnata da Art Spiegelman che riporta su tavola la vita del padre.

I libri sono “La tregua” e “Maus”, e il romanzo di Levi è stato scelto al posto di “Se questo è un uomo” essenzialmente perché “La tregua” – come “Maus” – è stato scritto parecchi anni dopo gli orribili avvenimenti di Auschwitz. Il tempo è servito sia a Primo Levi che ad Art Spiegelman (un po’ meno a Vladek, padre di Art) per metabolizzare sin dove possibile l’esperienza del lager, e non stupisce che sia Levi che Anja (la madre di Spiegelman) si siano suicidati, a distanza di decenni dalla loro liberazione anche a causa dei traumi psicologici subiti in quei giorni.
“La tregua” racconta il ritorno romanzesco e avventuroso di Levi dalla Polonia a Torino, attraverso l’Europa devastata dalla guerra e i mille personaggi sopravvissuti, come l’autore, al conflitto.
Il romanzo inizia con la rievocazione – attraverso una poesia – del campo di concentramento, e della secca sveglia mattutina rappresentata da una sola parola, urlata dalle guardie: “Wstavac!”, ovvero: “Alzarsi!”. L’ordine perentorio arrivava tutte le mattine a interrompere i sogni fatti di cibo, casa, racconti.
La stessa parola ritorna, alla fine della poesia, a ricordare che tutto è stato fatto, di quel che era stato sognato, e che il tempo è terminato. “Wstavac” e’ anche la parola che chiude il romanzo, a determinare circolarmente l’incancellabilità del ricordo di quei giorni.
Molti dei personaggi risaltano per la filosofia spicciola che ci propinano. Come ad esempio l’ebreo greco Nahum che detta le priorità in periodi di conflitto:
“Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo luogo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovare da mangiare, mentre non vale l’inverso”.
“Ma la guerra è finita” obiettai: e la pensavo finita, come in quei mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi.
“Guerra è sempre” rispose memorabilmente Mordo Nahum.
“Maus” è l’intera vita di Vladek Spiegelman faticosamente estorta all’uomo da suo figlio Art, e ancor più faticosamente trasformata in un romanzo a fumetti. I personaggi sono stati disegnati come animali: tutti gli ebrei sono topi, i nazisti ovviamente gatti, i polacchi sono maiali, gli americani cani, e così via.
Il romanzo è ricorsivo: in molte pagine Spiegelman disegna se stesso che intervista suo padre per la stesura del libro stesso, o mentre parla con sua moglie della difficoltà di andare avanti con il progetto; sopra tutto aleggia la figura di Vladek, quasi una macchietta per come racchiude in se i vari luoghi comuni affibbiati agli ebrei: tirchiaggine, razzismo, fatalismo. Splendide le pagine in cui Art racconta il suicidio di sua madre, e – unico caso in tutto il libro – disegna personaggi umani. Lui si raffigura con la divisa a strisce degli internati ad Auschwitz, a chiudere un cerchio generazionale, e prendere su di se parte del fardello dei ricordi di famiglia.
Perché questo sono sia “La tregua” che “Maus”: un piccolo peso che pure noi possiamo – anzi, forse dobbiamo – portare, da passare alle generazioni future perché la memoria dell’orrore non si perda, perché non si facciano due volte gli stessi, tragici errori.
“Maus”, Art Spiegelman, Einaudi Editore
“La tregua”, Primo Levi, Einaudi Editore
Barney
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