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Elezioni Europee 2019: guida pratica per gli indecisi

Aspettando l’asteroide con in mano un mezzo litro di ottima birra trappista belga, m’è venuto in mente di aiutare i miei tre lettori nella difficile scelta cui saranno chiamati domenica prossima, ovvero dove mettere la croce sulla scheda elettorale per le elezioni europee di questo 2019, anno 2 del Governo Serpeverde qua in Italia.

Intanto queste sono elezioni europee, per cui bisognerebbe fare lo sforzo di aprire un po’ il cervello e cercare di capire dove andrebbero a finire i candidati eletti col nostro voto.

Perché -a beneficio dei leghisti e dei fratelliditalia- al Parlamento Europeo NON ci sono né la Lega, né i Fratelli d’Italia. Nè se è per quello il PD o il M5S: chi viene eletto rappresenterà il proprio paese in uno dei gruppi politici che transumano tra Strasburgo e Bruxelles.

E allora andiamoli a scoprire, questi gruppi.

La formazione attualmente più numerosa è il Partito Popolare Europeo (che per l’Italia è popolato dai berlusconiani di Forza Italia, da partitucoli come l’Unione di Centro, e da Adinolfi che fa partito da solo, e che una volta raccattava la DC). Sulla homepage campeggia come slogan “We are working for an ambitious Europe”, e il sito è molto ben organizzato e informativo. Si capisce che i Popolari sono europeisti, e che il loro target è un elettorato maturo, con un background culturale medio-alto che vuole andare a fondo delle questioni. Il sito è solo in inglese, in compenso permette di aumentare a dismisura la dimensione dle font di visualizzazione, il che è un altro segnale del target di età cui si rivolge: se fosse un canale Youporn, sarebbe “Granny”.

Il Partito Socialdemocratico Europeo (in cui confluiscono gli eletti del PD, e quelli del PSI -parlandone come se fosse una cosa viva-, più Articolo 1 se esistesse) ha invece una homepage che cicla filmati a tutto schermo, sovrastati dallo slogan “We’re fighting for a better tomorrow with radical change in Europe”, che da subito l’idea del progressista-rivoluzionario in ciabatte. Sotto ci sono gli obiettivi raggiunti dalle proposte di legge dei rappresentanti socialdemocratici, e poi le tre priorità di questa campagna elettorale: un nuovo modello economico, una programmazione di budget di lungo periodo, e lotta per la democrazia e i diritti fondamentali. Si possono scegliere ben sei lingue, tra cui l’italiano e il polacco, e ricordatevene di questa cosa perché è l’unico così poliglotta. Magari non scegliete il polacco, per leggere le informazioni, a meno che non vi chiamiate Ambrozy o Aleksandra.

Alde è il contenitore dei liberal-democratici, e in Alde andranno -assieme ai francesi di “En Marche!” gli eletti italiani di +Europa. Sempre che siano eletti… Anche qua è tutto un susseguirsi di immagini e slogan che raccontano quanto fatto dai parlamentari del gruppo nel parlamento europeo. Sotto c’è un altro slideshow, di candidate (ho visto tutte donne) con loro brevi dichiarazioni europeiste. Scorrendo ancora più sotto troviamo una sequenza ininterrotta di tweet e post Facebook, sempre a tema “proposte e leggi portate avanti da Alde”. Dovessi sceglierli per il sito, ci starei lontano come da un appestato, ma avranno il mio voto. Sito in inglese e francese.

Europa delle Nazioni e Libertà è il contenitore dei sovranisti, e quindi raccoglierà gli eletti leghisti (che poi faranno i cazzacci loro in giro per le birrerie di Bruxelles, se ricalcano le orme del loro leader, campione mondiale di assenteismo in aula). Il sito avrebbe bisogno del sapiente intervento di Luca “Selfie” Morisi, il media manager di Salvini, perché adesso è un pianto. Campeggiano i volti dei personaggi di spicco del gruppo, e subito sotto i 5 punti distintivi di chi si sente sovranista nel 2019: si inizia con “Democrazia” (divertente che questo blocco si chiuda con “ripudiamo qualsiasi affiliazione, connessione o condivisione di qualsiasi progetto autoritario o totalitario”), poi c’è (ovviamente) “Sovranità”, quindi (ma va?) “Identità”, poi “Specificità” e infine “Libertà”. Libertà di dire e fare quello che gli pare, ma solo loro perché sono identitari e sovrani e gli altri no. Una sola lingua, l’inglese, impedirà al tipico sovranista italico di potersi abbeverare a queste verità. Peccato, maancheno.

Chi sentisse la nostalgia del vecchio Partito Comunista ha la possibilità di votare Sinistra Italiana che si è federata con i rimasugli di Rifondazione Comunista per sperare di superare lo sbarramento del 4% e poter così portare qualche eletto nel gruppo GUE/NGL, (che sta per European United Left – Nordic Green Left) il cui sito è pieno zeppo di notizie sui diritti dei lavoratori, sulle discriminazioni di genere, sui cambiamenti climatici e sui rifugiati. Anche questo sito è solo in inglese, però è molto colorato e visivamente si lascia navigare.

Il gruppo ECR (European Conservative and Reformists) sarà la casa dei seguaci di Orgia (non è un errore, è voluto ed è il risultato di un altro pessimo media manager) Meloni. Incluso Caio Giulio Cesare Serbelloni Mazzanti Viendalmare Mussolini, se viene eletto. Sulla homepage del sito campeggia questo slogan “Bringing back common sense”, su una composizione fotografica sopra la quale campeggia un’ombra di testa di leone. Tra gli argomenti che stanno a cuore ai conservatori riformisti (che suona un po’ come “le puttane vergini”…) ci stanno robe tipo “increasing accountability” e “Connecting people & business”, accanto a un sibillino “An EU immigration system that works” perché “i negri a casa” non si poteva scrivere, credo.

Vi chiederete dove andranno a finire i pentastellati eletti in Italia, forse. Bene: confluiranno nell’EDFF (Europe of Freedom and Direct Democracy), dal nome dovrebbero appoggiarsi alla mitologica piattaforma Rousseau (invece no), e hanno come motto “People’s voice”, che oltre che “uno vale uno” si può tradurre con “la voce dellagGente”. Anche qua il webmaster ha optato per foto giganti che ciclano, con sotto brevi frasi a commento. Il loro presidente è Nigel “Brexit” Farage, e non credo ci sia bisogno di dire che la ricetta per l’Europa di questi qua è “brasiamola e facciamola finita”. Un voto dato a un qualsiasi partito che confluisce in questo gruppo politico mi fa venire in mente uno che va alle riunioni degli alcolistti anonimi con la fiasca piena di grappa in tasca, ma come sapete sono strano. Il sito è solo in inglese.

Abbiamo poi un gruppo che dall’Italia riceverà pochi o punti eletti, Greens/EFA (The greens/European Free Alliance), di chiara ispirazione ambientalista (il coté green) e indipendentista di sinistra (la parte “EFA”). La homepage e’ riempita in prima battuta da una scritta in caratteri cubitali “We are Change Makers” su sfondo policromo cangiante. Se si scorre la pagina, appare un altro motto in basso: “We care. We act. We fight” che alimenta qualche speranza sia vero, addirittura qualche pulsione a votarli. Non stupisce che i tempi ambientalisti à là Greta Thumberg siano iperrappresentati, così come le differenze di genere e l’equità sociale. Tre lingue tra cui scegliere: inglese, francese, tedesco.

Questo è quanto, non mi resta che alzare il bicchiere e brindare davvero all’asteroide, certo che in tutta Europa e massimamente in Italia queste elezioni avranno un sapore provinciale di “referendum” su questo o quel governo, e chissenefrega dei gruppi politici di Strasburgo.

Salvo poi lamentarsi per le assurde imposizioni riguardo la lunghezza delle zucchine di mare, ovviamente.

Cheers,

 

 

 

Barney

 

 

Virginiana Miller, “The unreal McCoy”, Santeria record, 2019

Doveva uscire forse un anno fa, poi a Natale 2018, infine a primavera.

E -puntuale come un regionale in ritardo…- a fine marzo finalmente abbiamo avuto il nuovo disco dei Virginiana Miller, band livornese sconosciuta ai più ma nel mio cuore da sempre. Per agganciarmi alla presentazione di “Middle England“, anche per questo disco all’inizio le “recensioni” erano in sostanza il copincolla del lancio della casa discografica e dei VM stessi, con qualche tocco di dotte citazioni di letterati americani (Roth in primis) a sottolineare la novità assoluta di questo CD: la lingua.

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“The unreal McCoy” è tutto in inglese. Ma siccome è un inglese scritto e cantato da un livornese che scrive canzoni splendide, i testi si capiscono e si apprezzano quasi quanto i classici del gruppo labronico.

Non starò a farla lunga su quello che ci sento io, in questo disco (non Roth: piuttosto un misto di McCarthy, DeLillo, Pynchon, Breat Easton Ellis per la letteratura, e sicuramente influenze Nick Cavesiane oltre che Neil Younghiane per la musica). Dico subito che l’operazione è perfettamente riuscita, e se i Virginiana volevano dare un’idea di come si vede l’America (intesa come Stati Uniti) dai Bagni Pancaldi, ci sono perfettamente riusciti. Anche perchè spesso i critici musicali si dimenticano che chi vive sulla costa toscana nord un contatto diretto con gli USA ce l’ha (prima molto di più, adesso un po’ meno) attraverso la base NATO di Camp Darby.

Il disco si apre con la title track (“the unreal McCoy” in americano è qualcosa tipo l’opposto di qualcosa di vero e definito, direi improbabile più che incredibile), un vecchio perdente che chiede al figlio se poi ha sbagliato qualcosa a voler fare di nuovo grande l’America (vi ricorda qualcuno?).

La seconda traccia è un pugno nello stomaco, un mix di culto delle armi (il secondo emendamento tanto caro agli sparafucile d’oltreoceano) e uccisione di donne in stile “American Psycho” o Charles Manson, rappresentato benissimo dal video che accompagna il pezzo che a sentirlo sembra innocuo:

La chiusura è bellissima: “…this is just a dream, this is an M16. This is heaven, this is an AK47. You won’t bleed for long, this is only a second amendment to a love song”.

Un altro pezzo che mi piace moltissimo e’ “The end of innocence”, che racconta gli USA della guerra fredda, dei rifugi antiatomici e delle mille contraddizioni. E mi piace molto anche il lento e tranquillo “Soldiers on leave”, dove pare d’essere proprio di fuori a Camp Darby a guardare i marines in libera uscita.

E “Toast the asteroid”, che davvero ci vorrebbe l’asteroide cui fare un brindisi, fino alla chiusura con una “Albuquerque” in cui io e l’omino del mio cervello sentiamo parecchio Nick Cave.

Non vedo l’ora di andare a sentirli dal vivo, i Virginiana Miller.

Bentornati, c’è sempre speranza.

Barney

Ecco un ottimo candidato all’IgNobel 2019

Titolo dell’articolo pubblicato su “Acta Tropica”:

The electronic song “Scary Monsters and Nice Sprites” reduces host attack and mating success in the dengue vector Aedes aegypti

Il succo: se si fa ascoltare alle zanzare un certo  pezzo di musica dubstep, queste pungono meno, e si riproducono pure meno.

La conclusione: si potrebbero realizzare dispositivi di protezione dalle zanzare basati su quel pezzo di musica dubstep.

Ora, la domanda che mi sorge spontanea è come caspita hanno scelto quel pezzo e solo quello, tra i miliardi di brani disponibili, E se hanno fatto comparazioni tra l’efficacia di quello schifo e qualsiasi altro brano, anche fosse “Gelato al Cioccolato” di Pupo.

Sarete curiosi di ascoltare il magGico pezzo musicale, così da potervi preparare lo zampirone elettronico in vista delle prossime invasioni alate. Ve lo linko a vostro rischio. Ma fa schifo anche a me, oltre che alle zanzare (le capisco: ad ascoltare roba simile l’unica cosa che ti viene in mente è fuggire lontano), quindi andiamo in libera uscita:

 

Barney

Filosofia da muro #140, #141 e #142

Una decina di giorni fa, uscendo di casa per andare in stazione mi sono imbattuto nella prima filosofia da muro che poi vedrete, che in realtà non sarebbe proprio appartenente alla categoria per i motivi che capirete tra poco.

Siccome accanto all’opera c’era addirittura un indirizzo Instagram dell’artista, ho scoperto che egli (o ella) ha disseminato la città (Lucca) di opere dello stesso tipo. Tutte ritraggono personaggi lucchesi famosi in generale o solo in questa città per vecchi.

Quella che sta a dieci metri dal mio portone ritrae qualcono che tutti conoscono, ma ironicamente rappresentato in abiti da fighetto dei nostri giorni.

Ecco qua:

puccini

La scritta ve la ingrandisco io:

puccini scritta

Come vedete, il garbo del Banksy de noantri è notevole, nel richiedere che la sua opera non sia tolta dal muro. Si potrebbe obiettare che Random Guy avrebbe dovuto chiedere l’approvazione prima di appiccicare Puccini hipster, ma tant’è.

Ah, voi non sapete che la sagoma del famoso lucchese oltre ad essere vicina al mio portone è di fronte al Conservatorio Musicale cittadino, intitolato a Luigi Boccherini.

Direi che tutto sommato non deturpa la piazzetta, anzi.

Le altre due filosofie murarie sono dedicate a lucchesi famosi solo per la città, e dal punto di vista del decoro urbano sono a impatto zero: sono state incollate infatti su impalcature provvisorie, in Piazza Napoleone (uno dei salotti buoni di Lucca).

Ecco a voi qua sotto San Renè, il mio spacciatore di dischi:

rene

Al posto della Bibbia Renè ha “The dark side of the Moon” in vinile (e chi non ne possiede una copia?), e la sua missione, ci dice Random Guy, è proteggere la città con la musica. Piazza Napoleone oltre che ospitare (a due metri dal murales) il negozio di Renè, è pure teatro del Summer Festival.

L’ultima opera è quella che ha riscosso più consensi, quella che i miei concittadini hanno condiviso in massa, e rappresenta una delle figure caratteristiche in cui si può incappare se si gira dentro le mura. Mario “Son Sodo“, versione Superman:

sonsodo

Mario io che ho 52 anni me lo ricordo da sempre, in giro con la sua radiolina a transistor che irradia al massimo volume consentito canzoni italiane, da Tajoli a Morandi. E lui che le ricanta (le ri-urla direi meglio) con ottima intonazione, salvo interrompersi quando qualcuno lo incrocia per domandare: “Son sodo, bimbo”? (Son sodo corrisponde a “sono ganzo”). Alle donne invece chiede spesso “O sposa, si tromba?”, ma il tono non è quello dello stupratore seriale, e tutti accettano di buon grado le sue attenzioni.

Se andate sulla pagina Instagram di Random Guy, vedrete che la collezione si sta allargando: una ventata di giovinezza nella paleolitica Lucca, che non può che fare bene.

La colonna sonora è obbligatoria: il 29 marzo esce il loro nuovo disco, che ovviamente andrò a comprare da Renè:

 

Barney

Filosofia da muro #131 (hat trick: adp)

Ammennicoli di Pensiero mi manda questa foto, che lui stesso colloca in una “stazione ferroviaria sotterranea di una più o meno ridente città padana” (e più non dimandare):

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All’inizio ero convinto che il “sei” iniziale dovesse leggersi “si”, così da generare una specie di aforisma da talent show o da reality (livello basso, insomma).

A rileggerlo invece può benissimo essere che la frase sia stata voluta proprio così, e che invece che una generica affermazione valida per tutti si riferisca a una particolare donna.

Non che il livello si alzi di chissà quanto, eh? Ma la cosa assume una sfumatura personale che rende il tutto più intrigante: quali danni potrebbe aver subito la donna, e in quanti anni?

Ah, solo chi passasse di nuovo nella stazione ferroviaria sotterranea di una più o meno ridente città padana potrebbe casualmente imbattersi nello scribacchino e domandarglielo.

 

Barney

Filosofia da muro #126

Livorno, città multietnica e multidimensionale, porto di mare e rifugio di molti miei sabato sera, mi ha regalato questa colonna istoriata:

brucialebanche

Un classico di quarant’anni, fa vergato di fresco con pennarello verde, e l’immancabile A cerchiata a definire -ce ne fosse bisogno- il coté politico del pensiero di chi ha lasciato il messaggio.

Meno male che per adesso siamo solo al messaggio, e l’azione è ben lungi dall’arrivare, altrimenti saremmo messi peggio di quanto già siamo: tra chi vuole sparare a tutti, e chi vuol dare fuoco alle banche sarebbe un buon inizio di guerra civile.

Che non è detto non scoppi, prima o poi…

In attesa degli eventi, a Livorno non si può chiudere con musica non livornese:

 

Barney

“In esilio”, Simone Lenzi (Rizzoli, 2018)

Pochi libri riescono a ritrarre la realtà dei nostri giorni in una manciata di pagine che corrono via veloci come se la storia che vi si racconta fosse più una canzone che un romanzo.

“In esilio” è una di queste perle rare, e già dal sottotitolo attira il lettore: “Se non ti ci mandano, vacci da solo”.

inesilioD’altra parte scrivere canzoni è il mestiere  di Lenzi, cantante dei livornesi Virginiana Miller e autore dei testi del gruppo. Gruppo di cui per inciso aspettiamo da un anno il nuovo disco, dato “in uscita” da mesi e chissà quando poi davvero arriverà.

L’inizio è una dichiarazione: questa non è una storia, perché le storie adesso le racconta la tv con i miliardi di masterchef, meccanici geniali, pasticcieri, nani che si sposano tra loro, uomini di trecento chili che dimagriscono in tre settimane, chirurgie estreme e via così.

Il libro è la cronaca di una fine, perché tutti -come dice Lenzi- facciamo una fine, e sarebbe importante avere coscienza di quale a noi è destinata.

Tra i vari finali raccontati balza agli occhi di tutti quella di un partito democratico in disfacimento -in rottura prolungata si direbbe all’ippodromo-, oramai autoreferenziale nella sua ricerca del biodinamico, dell’equoesolidale, del raffinato a chilometro zero. E parallela a questo disfacimento l’ascesa del “partito dei resti sbagliati”, i grillini, quelli che trovano la loro raison d’etre nel contestare una cosa a caso con la certezza che loro saprebbero farla meglio, sia essa un intervento di microchirurgia cerebrale o l’atterraggio di un Airbus 380.

La politica permea tutto il libro, ma sotto c’è anche la storia del protagonista-scrittore, che sembra iniziare da dove finisce “Sul lungomai di Livorno“, e ha nel cane di Simone Lenzi uno dei personaggi ricorrenti, cane anche lui raccontato assieme al padrone in uno dei brani più belli di “Venga il regno” (lo trovate al link sopra).

Lettura veloce ma intensa, un disincantato arrendersi al passare degli anni e all’aumento esponenziale del tasso di stupidità della popolazione mondiale, “In esilio” è quasi un manuale di sopravvivenza Ghandiana per questi tempi oscuri ma fortunatamente non seri.

Leggetelo, non vi farà più male dell’ennesima puntata di “X-Factor”…

 

Barney

 

Filosofia da muro #113 (hat trick: Pendolante)

Scritte filosofiche su treni che passano da stazioni emiliane, per citare i Virginiana Miller e avvertire che a brevissimo uscira’ il loro prossimo disco. Lo scatto non puo’ che essere di Pendolante:

tristi

Ed e’ una delle piu’ profonde filosofie sin qua pubblicate.

Anche le due linee sotto il tutto, non proprio dritte, danno l’idea dello smiley triste, e se e’ voluto e’ veramente molto bello.

Come musica avevo pensato a “The weeping song”, ma poi ho aperto citando altro e quindi ci becchiamo per l’ennesima volta i livornesi, qua con la chitarra straeffettata di Giorgio Canali a condire il tutto.

 

 

 

Barney

Tutti al mare

Sto terminando di leggere un libro splendido, “Postwar” di Tony Judt. Sottotitolo: “A history of Europe since 1945“, che dice esattamente quel che il lettore si trovera’ di fronte: gli ultimi 70 anni dell’Europa raccontati con chiarezza, lucidita’, a volte distacco, direi anche con equidistanza e buon senso. Andrebbe fatto leggere obbligatoriamente a scuola -anche se sono un migliaio di pagine-, soprattutto nelle scuole italiane, cosi’ da evitare o almeno attutire il periodico tornar fuori delle nostalgie fasciste, cui fan da contraltare le alzate di scudo comuniste.

Come se fascismo e comunismo fossero ancora concetti con un senso, nel 2017.

O meglio: come se chi inneggia alla resurrezione del Duce come panacea di tutti i mali di queste stagioni sapesse di cosa sta parlando.

Andrebbe reso obbligatorio -come i due minuti d’odio Orwelliano- anche l’ascolto quotidiano de “La zanzara“, su Radio24. Perche’ gli ascoltatori che telefonano sono l’esatto specchio del paese, quello che “I Rom andrebbero bruciati vivi”, “I migranti metteteveli in casa voi/se li pigli il Papa”, “Le donne sono tutte puttane” e soprattutto “Hitler e Mussolini tutto sommato han fatto moltissime cose buone e un paio di cazzate di poco conto. Grandi statisti, i migliori del secolo passato e di quelli a venire”. Ultimamente va di gran moda il raffinatissimo adagio “Ma se il fascismo e’ proibito, perche’ non lo e’ il comunismo?”, giusto per dare l’idea del serraglio… I conduttori -soprattutto Cruciani- paiono le macchiette dell’Uomo Qualunque di Gianniniana memoria, che interrompe qualsiasi ragionamento piu’ complicato di piscia-cacca-culo con un “E allora? Embe’? E quindi, cosa vorresti dire?” ripetuto a manovella a chiudere qualsiasi possibilita’ di discorso.

“Postwar” e “La zanzara” potrebbero aiutare a capire come mai questa settimana la discussione in Italia e’ stata incentrata sull’oramai strafamoso Bagno di Punta Canna, a Chioggia, dove il proprietario vorrebbe rivivere il ventennio fascista attraverso simpatici (per lui) cartelli inneggianti ad ordine, disciplina e amor di patria o a credere, obbedire, combattere. Inframmezzando i bagni di sole con discorsi da ducetto malriuscito,  con soddisfazione degli avventori, attratti dal luogo e dall’ometto come le mosche dalla merda.

In settant’anni di dopoguerra questa nazione, che si e’ sin dall’inizio basata sul compromesso e sul girarsi dall’altra parte invece che fare i conti col proprio passato, non e’ riuscita a chiudere i conti con la storia. Ha leggi che in teoria puniscono l’apologia di fascismo (e spero non vi sia bisogno di spiegare perche’ da noi c’e’ questa legge…), ma in pratica saluti romani, svastiche e fasci littori sono simboli all’ordine del giorno dovunque. Ed e’ possibile andare al mare ricordando con malinconia “quando c’era lui”. Che poi sanno una sega quelli del Bagno Punta Canna di quando c’era lui: si basano su racconti di terza mano, lievitati come l’impasto del pane in anni di mantrugiamenti, su nessuna lettura (che leggere e’ faticoso), e sul comodo assioma che la colpa sia sempre di qualcun altro. Prima dei partigiani, ora degli zingari e dei negri.

Ma prima dei partigiani la colpa fu degli ebrei, non ce ne dimentichiamo. E si: anche Stalin e il suo comunismo ne ammazzarono a milioni, come il fascismo e il nazismo.

E allora aspettiamo che torni lui (quello pelato o il nano sifilitico coi baffetti, o l’altro -il contadino russo ubriacone-) un lui a caso che ci risolva i problemi. Che tanto se dobbiamo imparare a risolverceli da soli, imparando dal passato, non ci leveremo mai le gambe.

 

 

 

Barney

Cambio di stagione

Con commento musicale doppio.

L’estate che finisce…

…e lascia il posto all’autunno:

 

 

Barney