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Dieci libri in una botta sola, con spoiler e senza catene

Ogni tanto vedo pubblicate su Facebook robe tipo “I dieci film più belli che ho visto“, o “le dieci canzoni punk più importanti per la mia adolescenza“, o sarcazzo quali altre perle di vita centellinate una a una per dieci giorni, con l’aggravante che quasi sempre questa roba è accompagnata da un “taggo Caio, che faccia la stessa cosa con dieci suoi contatti”, in un vortice assurdo e per me incomprensibile di gente che racconta ad altra gente robe di cui alla fine non interessa una mazza a nessuno, se non a chi gestisce il social network e deve tenerlo in vita in qualunque modo. Incluso questo, perlappunto.

Tra le robe che mi son passate sotto gli occhi c’è stata anche “pubblica i dieci libri che ti hanno colpito di più, mettendo solo la copertina e taggando un amico al giorno”.

Cioè: invece di chiedere al coglione di turno di dire perché il libro x l’ha colpito, gli si dice che basta la copertina, senza commenti. Il che non ha bisogno di commenti, in effetti.

Odio le catene di Sant’Antonio, insomma.
Tutte, nessuna esclusa.

Per cui, invece che perpetrare il delitto del “pubblica la copertina dei dieci libri che più ti hanno colpito, e dai il compito ad un amico diverso ogni giorno” la risolvo da solo, senza pubblicare le copertine e soprattutto non tirando in ballo nessun altro.

Anche perché leggere è un’attività che in genere si fa da soli.

Non c’è un ordine di merito, né questi sono i libri che più mi hanno colpito (qualsiasi cosa ciò significhi), per ogni libro ci sono poche parole di presentazione -tanto la gGente non legge più nulla…- e (attenzione!) uno spoilerone di ancor meno parole.

  • La versione di Barney” di Mordecai Richler (dovrò giustificare il nickname, no?). La storia di un vecchio e burbero produttore televisivo attraverso le sue tre mogli e la misteriosa scomparsa del suo migliore amico.
    SPOILER: Ha E’ stato il Canadair.

 

  • Ubik“, di P. K. Dick. Nel futuro i morti sono tenuti in uno stato di semicoscienza, e possono interagire con i vivi attraverso macchine elettroniche, per pochi minuti ogni tanto.
    SPOILER: Sono tutti morti, anche chi crede di essere vivo.

 

  • Postwar” di Tony Judt. La storia dell’Europa dal 1945 a pochi anni fa, raccontata da un grande giornalista.
    SPOILER: è purtroppo tutto vero, e chi dovrebbe leggerlo non lo farà.

 

  • Watchmen“, di Alan Moore e David Gibbons. In un presente distopico un manipolo di vecchi giustizieri oramai sull’orlo della pensione si trova a combattere contro un misterioso nemico che sembra avercela con loro.
    SPOILER: Silk Spectre è figlia del Comico.

 

  • Meridiano di sangue“, di Cormac McCarthy. La parabola distruttiva di un giovane di frontiera, in bilico tra la vita e la morte nel profondo sud degli USA di cent’anni fa.
    SPOILER: muore.

 

  • Bone” di Alan Smith. E’ simile al Signore degli Anelli, ma il drago è buono e gli animali parlano.
    SPOILER: tornano a Boneville.

 

  • 1984“, di George Orwell. Chi non l’ha letto lo conosce perché guarda “Il Grande Fratello”, che è una delle presenze costanti del libro. Ma non c’entra una mazza con il reality show, fidatevi.
    SPOILER: Winston Smith perde. Male.

 

  • L’alba della notte“, di Peter F. Hamilton. Le anime dei morti trovano il modo di possedere i vivi, che si devono difendere sapendo che se muoiono passano dalla parte del nemico, che è sostanzialmente immune al 90% delle armi dei vivi.
    SPOILER: Vincono i vivi per un pelo, ma dopo circa 4000 pagine.

 

  • L’ombra dello scorpione” di Stephen King. Racconta meglio di “It” la lotta tra bene e male, in uno scenario postapocalittico purtroppo abbastanza probabile.
    SPOLIER: vincono i buoni ai tempi supplementari col golden goal. Dopo circa 1200 pagine.

 

  • Armi, acciaio e malattie“, di Jared Diamond. Una storia dell’evoluzione della civiltà umana che spiega perché siamo come siamo, e come possiamo distruggere l’unico pianeta che al momento abitiamo.
    SPOILER: anche qua, è tutto vero.

 

 

Barney

Barney

“Spider-man: un nuovo universo”, P. Ramsey, R. Persichetti, R. Rothman (USA, 2018)

Ore 15,45, unica proiezione nella mia città di “Spider-man: un nuovo Universo”.

Superata una folla di bambini urlanti, aggrappati alla macchina del popcorn come cozze allo scoglio, arrivo al botteghino.

“Un biglietto, grazie”

“…? Per lei? Per Spider-man?”

“Si, non è colpa mia se ci portano i bambini”.

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Ecco, diciamolo subito: “Spider-man, un nuovo universo” non è un film di animazione per bambini. O meglio: non per tutti i bambini. Alcuni potranno divertirsi a qualche battuta (ne capiranno poche), ridere all’apparizione di Spider-ham, gioire -forse- dell’animazione splendida e dei colori impressionanti, ma la storia è cupa alla fine, c’è il cattivo (e che cattivo: Kingpin), e se non lo sapete già Peter Parker muore.

E il film è spettacolare, da vedere: in molti hanno definito questo nuovo Spider-man “qualcosa che non si era ancora visto”, un mix tra action movie, fumetto e manga, con colonna sonora da suburbi newyorkesi che ci sta alla grande. Non posso che confermare, aggiungendo che se avete visto il trailer in tv o su youtube, non avete visto nulla della eccellenza dell’animazione e della vividezza dei colori che animano lo schermo del cinema.

C’è una storia, che regge come tutte le storie di fumetti e che come un fumetto va presa, ci sono i buoni (tanti), c’è il già nominato Kingpin come cattivo contornato da molti nemici storici del ragno, ci sono continui riferimenti al mondo Marvel che faranno contenti i lettori delle nuvole parlanti, c’è anche in questo film una continua rottura della quarta parete, qua fatta tirando sullo schermo proprio i fumetti, a spiegare antefatti e storie laterali. E ci sono le onomatopee scritte a caratteri cubitali che appaiono sullo schermo proprio come se stessimo leggendo un fumetto: “BOOOOOOOM”, “BANG” e via andare.

C’è insomma tanto cinema dentro questo film, e dispiace vedere come in Italia la pellicola sia passata come “film di Natale per famiglie” invece che come prodotto che farà la storia.

Fidatevi.

 

Barney

 

[Cartaresistente] Paralleli su carta n°9: Spiegelman e Levi

Non so quanti siano attualmente i sopravvissuti ai lager nazisti della seconda guerra mondiale, ma ogni giorno sono sempre drammaticamente meno: il tempo gioca contro di loro, e la necessita’ di mantenere il ricordo, la memoria di quello che è successo è – a maggior ragione – un dovere per ciascuno di noi.
I due libri del parallelo di oggi sono libri della memoria: raccontano le storie di due sopravvissuti, una narrata direttamente dallo scampato Primo Levi, l’altra disegnata da Art Spiegelman che riporta su tavola la vita del padre.

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I libri sono “La tregua” e “Maus”, e il romanzo di Levi è stato scelto al posto di “Se questo è un uomo” essenzialmente perché “La tregua” – come “Maus” – è stato scritto parecchi anni dopo gli orribili avvenimenti di Auschwitz. Il tempo è servito sia a Primo Levi che ad Art Spiegelman (un po’ meno a Vladek, padre di Art) per metabolizzare sin dove possibile l’esperienza del lager, e non stupisce che sia Levi che Anja (la madre di Spiegelman) si siano suicidati, a distanza di decenni dalla loro liberazione anche a causa dei traumi psicologici subiti in quei giorni.

“La tregua” racconta il ritorno romanzesco e avventuroso di Levi dalla Polonia a Torino, attraverso l’Europa devastata dalla guerra e i mille personaggi sopravvissuti, come l’autore, al conflitto.
Il romanzo inizia con la rievocazione – attraverso una poesia – del campo di concentramento, e della secca sveglia mattutina rappresentata da una sola parola, urlata dalle guardie: “Wstavac!”, ovvero: “Alzarsi!”. L’ordine perentorio arrivava tutte le mattine a interrompere i sogni fatti di cibo, casa, racconti.
La stessa parola ritorna, alla fine della poesia, a ricordare che tutto è stato fatto, di quel che era stato sognato, e che il tempo è terminato. “Wstavac” e’ anche la parola che chiude il romanzo, a determinare circolarmente l’incancellabilità del ricordo di quei giorni.
Molti dei personaggi risaltano per la filosofia spicciola che ci propinano. Come ad esempio l’ebreo greco Nahum che detta le priorità in periodi di conflitto:
“Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo luogo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovare da mangiare, mentre non vale l’inverso”.
“Ma la guerra è finita” obiettai: e la pensavo finita, come in quei mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi.
“Guerra è sempre” rispose memorabilmente Mordo Nahum.

“Maus” è l’intera vita di Vladek Spiegelman faticosamente estorta all’uomo da suo figlio Art, e ancor più faticosamente trasformata in un romanzo a fumetti. I personaggi sono stati disegnati come animali: tutti gli ebrei sono topi, i nazisti ovviamente gatti, i polacchi sono maiali, gli americani cani, e così via.
Il romanzo è ricorsivo: in molte pagine Spiegelman disegna se stesso che intervista suo padre per la stesura del libro stesso, o mentre parla con sua moglie della difficoltà di andare avanti con il progetto; sopra tutto aleggia la figura di Vladek, quasi una macchietta per come racchiude in se i vari luoghi comuni affibbiati agli ebrei: tirchiaggine, razzismo, fatalismo. Splendide le pagine in cui Art racconta il suicidio di sua madre, e – unico caso in tutto il libro – disegna personaggi umani. Lui si raffigura con la divisa a strisce degli internati ad Auschwitz, a chiudere un cerchio generazionale, e prendere su di se parte del fardello dei ricordi di famiglia.

Perché questo sono sia “La tregua” che “Maus”: un piccolo peso che pure noi possiamo – anzi, forse dobbiamo – portare, da passare alle generazioni future perché la memoria dell’orrore non si perda, perché non si facciano due volte gli stessi, tragici errori.

“Maus”, Art Spiegelman, Einaudi Editore
“La tregua”, Primo Levi, Einaudi Editore

 

Barney

[Cartaresistente] Paralleli su carta n°2: Spiegelmann e Meyssan

Paralleli divergenti in questo caso, tra un fumetto serissimo nella sua opera di documentazione d’un dramma raccontato in presa diretta, e un romanzo-inchiesta a teorema, che vorrebbe dimostrare la falsità e l’inconsistenza della versione ufficiale dello stesso dramma.
L’episodio preso in esame è famosissimo: l’attacco all’America dell’11 settembre 2001, e ci viene raccontato attraverso il World Trade Center caduto a New York, disegnato qualche settimana dopo da Art Spiegelmann ne “L’ombra delle Torri“, e l’aereo caduto sul Pentagono pochi minuti dopo l’attacco a New York, che secondo il Therry Meyssan di “L’incredibile menzogna” non e’ mai esistito.

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I punti di vista opposti nascono da esperienze nemmeno lontanamente comparabili tra di loro: Spiegelmann che vive da sempre a New York, e che ci racconta l’ansia di sapere la figlia proprio nella zona dell’attacco, al suo terzo giorno di scuola, la corsa pazza e senza fiato alla ricerca di informazioni, l’orrore in successione dei crolli delle due Torri, l’odore nauseante delle settimane successive che ricorda quello che suo padre gli ha raccontato dei camini di Auschwitz… e Meyssan, che costruisce tutto il suo libro su assunti e prese di posizione del tutto arbitrarie, e lo fa “osservando” foto e filmati dalla Francia, senza nemmeno aver visto da vicino i luoghi di cui millanta di sapere tutto, che ci racconta di bugie e coincidenze incredibili, che discetta di ingegneria e tecnologie aeronautiche non avendo una base nemmen minima per farlo.

Io – ve lo dico subito – sto con Spiegelmann; ma i due libri leggeteli entrambi, perche’ solo il fatto che si possano esprimere idee cosi’ diverse su un episodio che tutti abbiamo vissuto e’ stupefacente e meraviglioso allo stesso tempo.

Art Spiegelmann “L’ombra delle Torri”, Einaudi 2004
Thierry Meyssan “L’incredibile menzogna”, Fandango Libri 2002

 

Barney

Lucca Comics and Games 2017

Credo sia il capitolo finale, il passaggio definitivo da evento per appassionati a prodotto per bimbiminkia seguaci del flusso e del “si deve fare/si deve andare/lo si deve guardare”.

Da crema a merda, insomma.

Le mostre sono state come sempre eccellenti, con la personale di Bertolucci una spanna sopra il resto. Igort non mi e’ mai piaciuto molto, visto che disegna piu’ da giapponese che da europeo,  Sio e’ un buon prodotto ma NON da mostra, le due ragazze che disegnano per adolescenti sono fuori dal mio target e Whelan (il disegnatore del manifesto di quest’anno) e’ forse troppo scolastico per farmelo piacere del tutto (anche se ha illustrato sia “La torre nera” che “La ruota del tempo”).

I cosplayer sono come tutti gli anni un piacere per gli occhi, e la massa di persone che ha invaso la mia citta’ una piacevole iniezione di vita.

Quello che proprio non reggo e’ l’ (inevitabile?) mercificazione di tutto quel che e’ mercificabile, e l’applicazione del modello “Rolling Stones” all’evento, con la scusa che e’ per la sicurezza ma in realta’ solo perche’ del tutto funzionale al lucrare su -quasi- tutto.

Per esempio: nel raggio di 5 chilometri dalla citta’ non esiste un parcheggio gratuito. Nemmeno per i residenti, che per uscire dal centro storico devono seguire percorsi che variano non di giorno in giorno, ma di ora in ora, tra chicanes e moccoli sulla segnaletica inesistente.

Ancora: il classico concerto di Cristina D’Avena, trasformato da happening ad ingresso libero in un prive’ per 3000 fortunati in possesso di tagliando di autorizzazione all’accesso. Che si stacca solo se hai pagato il biglietto per l’evento.

Banchetti di venditori di cibo ogni cinquanta metri, sensi unici pedonali che -pure loro- cambiano con i giorni e le ore del giorno, code immense per puttanate acchiappa-coglioni come “il castello di Hogwarts” che in realta’ e’ solo un padiglione in cui puoi COMPRARE la qualunque associata ai libri e ai film di Harry Potter, o il baluardo delle mura trasformato in posto dove si puo’ “rivivere” l’atmosfera di Stranger Things e incontrare per 10 minuti gli attori della serie.

L’unica cosa gratis pare sia rimasta l’accesso ai cessi chimici, da tutti definiti un incrocio tra una fogna a cielo aperto di Calcutta e un maelstrom di merda.

Suggerisco agli organizzatori di lasciare lo stato dei cessi chimici cosi’ come adesso, MA di renderli accessibili solo con una moneta da 2 Euro, credo sia fattibile e renderebbe anche l’andare a pisciare organico con tutto il resto: mungere la vacca finche’ ha una goccia di latte. In alternativa, i residenti potrebbero aprire le loro case per bisogni fisiologici impellenti a prezzi di favore (5 Euro mi sembra adeguato, non c’e’ nemmeno da fare troppi conti per l’eventuale resto).

Qua sotto una delle tavole di Taiyo Matsumoto, altro autore presente alle mostre a Palazzo Ducale. Un giapponese piu’ europeo di Igort.

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Barney

Accordi Maggiori

Mi trovo troppo spesso a pensare che Scott Adams deve per forza avere qualcuno che lavora per lui nella stessa azienda dove lavoro io. Non per niente ho un muro dell’ufficio tappezzato da sue vignette (credo tra l’altro che questo infranga numerose regole di comportamento aziendale, domani controllo. E in ogni caso le lascio sul muro), prima o poi vi faccio vedere una foto.

Ma veniamo a stamani. Avevo una riunione su un nuovo progetto di cui nessuno che lavora con me capisce moltissimo. Io meno che gli altri, essendo il commerciale. Vabbe’, parte il meeting e tra presentazioni OpenOffice (aveva un PC con Linux, il tizio) e tavole di progetti ingegneristici che definire “arditi” e’ riduttivo, mi ritrovo a chiedermi cosa cavolo ci stiamo facendo li’.

Poco prima di pranzo, e vi dico subito che il tizio in visita -straniero- s’era portato il panino, apro la pagina di Dilbert per avere un minimo di conforto.

E vedo la luce. La striscia entra immediatamente di diritto tra le top five di Adams, e domani avra’ il suo posto sul mio muro.

Eccola, nella sua elementare semplicita’:

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Da oggi mi si apre un nuovo mondo, davanti 🙂

 

Barney

Dilbert, tanto per cambiare

E non xkcd. Perche’ questa e’ bellissima:

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Una volta si sbuzzavano gli animali per leggere nelle loro viscere il futuro, o per determinare se andare a destra o a sinistra, se comperare o se vendere.

Oggi ci sono Excel e le analisi finanziarie. Oppure i random number generator 🙂

 

Barney

Lucca Comics & Games 2015 – le mostre

Ho visitato per adesso solo quella di Palazzo Pretorio. Che contiene:

  • una bella retrospettiva su Bonvi e le sue Sturmtruppen, a vent’anni dalla prematura morte di un disegnatore tra i piu’ ironici che l’Italia abbia mai avuto.
  • una mostra di Emanuele Luzzati, piena di scenografie e di antichissimi fumetti dell’artista genovese,
  • una immensa mostra delle opere di Karl Kopinski, l’artista inglese che quest’anno ha fatto il poster della mostra:

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  • una mostra dedicata a Tuono Pettinato, con tra le cose piu’ interessanti i ritratti di personaggi piu’ o meno famosi:

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e infine il pezzo forte:

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“Here” e’ un fumetto scritto e disegnato due volte: la prima nel 1989, consisteva di solo sei pagine in bianco e nero. Queste qua. L’idea -semplice ma geniale- dell’artista era di usare una inquadratura fissa (una stanza di una casa americana qualsiasi) e far scorrere, in quella inquadratura, il tempo. Cosi’ si ha un continuo flashback e flashforward a partire dal 1957 (anno della nascita di McGuire), si vede una pianura colma di dinosauri, un futuro lontano, un uomo che costruisce la stanza, persone diverse che ballano in anni diversi… insomma il tempo che scorre visto da una telecamera fissa. Avanti e indietro.

Venticinque anni dopo McGuire riprende in mano “Here” e lo trasforma in un libro di trecento pagine, sempre con la stessa identica inquadratura di quella medesima stanza. Ma lo colora, usa tecniche miste, tira fuori una versione e-book interattiva che permette al lettore di scorrere con le dita il tempo che passa. Non si puo’ raccontare, va visto e letto per capire di che si tratta. Qua c’e’ una ottima recensione di quelle da circolo degli intellettuali :-), addirittura l’idea e’ stata trasformata in un cortometraggio qualche annetto fa. Questo qui:

Spesso fare qualcosa di incredibilmente bello parte da un’idea semplice.

Ma e’ averla, quell’idea, che fa la differenza tra una persona normale e un genio.

Barney

Lettera a Matteo Salvini, dal futuro (di Gipi)

Eccola qua, dal Post di oggi.

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Aggiungo solo un po’ di musica:

Barney

“Ant-Man”, P. Reed (USA, 2015)

Ero andato a vedere “Ant-Man” piu’ per curiosita’ che per interesse nel personaggio (uno dei minori -in tutti i sensi- dell’Universo Marvel), e sono stato ripagato da un film che non e’ certo un capolavoro, ma che regge per tutta la sua durata e diverte quasi (quasi) come “Guardiani della Galassia“.

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Il film non e’ niente di speciale: nessun messaggio recondito, nessuna filosofia nascosta, personaggi caratterizzati sin dall’inizio nei rispettivi ruoli (il buono-belloccio sfigato, i suoi amici sfigatissimi e semideficienti che pero’ contribuiranno in maniera determinante a salvare il mondo, il geniale e vecchio scienziato buono, sua figlia bòna che ovviamente s’innamorera’ del belloccio sfigato, il cattivo demente semigeniale e pelatissimo, prima pupillo del vecchio scenziato e ora iperambizioso villain, qualche comparsa qua e la e un cameo finale per Stan Lee che ci vuole in questi film), storia semplice e lineare.

Pero’ e’ veramente divertente, forse proprio perche’ t’aspetti piu’ o meno tutto quel che succede sullo schermo.

E poi ci sono milioni di formiche semi-intelligenti -in realta’ sono semplicemente controllate dai buoni-, e un continuo cambio di prospettiva grande-piccolo che e’ il marchio di fabbrica del piu’ piccolo tra i supereroi Marvel.

E la tuta di Ant-Man, che e’ molto, molto bella.

Finale che prelude all’ingresso di Ant-Man nel gruppo dei Vendicatori, magari ce lo ritroviamo in uno dei prossimi “Avengers”, chissa?

Barney