“Ready Player One”, S. Spielberg (USA, 2018)

Di Ready Player One (da ora in avanti RPO) ho sentito e letto parecchio, il giudizio quasi unanime è “film da nerd” (qualsiasi cosa cio’ significhi), l’accostamento che fanno tutti è “un film su Second Life!“, il parallelo con i fatti degli ultimi mesi non può che portare al caso Facebook-Cambridge Analytica… ma io c’ho visto anche altro.

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La prima cosa che mi è venuta in mente all’uscita è che è un film da adolescenti fatto da un settantunenne. Però con contenuti adatti ad un ultratrentacinquenne e trama da cartone animato disegnato male. Ma realizzato con la potenza e le infrastrutture di calcolo del 2018 (in realtà del 2017, per essere precisi).

Un frullato di rognone e latte condensato, insomma, confezionato in una bottiglia con sopra scritto “Dom Pérignon“.

E’ un film da adolescenti perché adolescenti sono i protagonisti, non c’è una scena erotica in tutto il film, la gente non muore mai e soprattutto c’è un lieto fine che si intuisce sin dal terzo minuto (e la pellicola dura due ore e venti).

E’ fatto da un settantunenne che vuole ravanare tra i ricordi di quando lui era cinquantenne o anche quarantenne, o addirittura trentenne: basta vedere la sterminata quantità di citazioni della cultura giovanile (la gGente dice “popolare”. A me questo fa incazzare, perché la cultura è cultura e stop, e se non capisci la bellezza di Akira son cazzi tuoi) di qualche decina di anni fa che Spielberg ha infilato nelle due ore e venti del film (dalla moto di Akira, appunto, alla Delorean di Doc Brown, passando per Gundam, il Gigante di Ferro, e una quantità industriale di personaggi dei vecchi videogiochi).

Gode ovviamente del fatto che adesso con la Computer Graphics ci fai di tutto, per cui le ambientazioni -sia quelle vere che quelle “da realtà virtuale”- sono spettacolari.

Ma alla fine almeno a me è rimasto il sospetto di avere buttato via i soldi, per una cosa che avrebbe potuto trattare certe tematiche in modo più maturo, ma proprio per come è stato realizzato il mappazzone proprio non ha potuto.

Ed è rimasto un qualcosa che sta a metà tra il serio e il giocoso, un prodotto adattissimo al pubblico di tutte le età tra i trenta e i novant’anni, i neo-neotenici, quelli che non vogliono crescere mai, come cantava Tom Waits anni fa.

Una interessante lettura alternativa di RPO la trovate qua. Merita la visita.

 

Barney

3 pensieri su ““Ready Player One”, S. Spielberg (USA, 2018)

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