Stephen King lo conoscono tutti come il “Re del brivido”. Data la quantita’ di libri che vende c’e’ una discreta fetta di popolazione mondiale che ha letto almeno uno dei suoi libri, e una discreta fetta di popolazione mondiale che, fatta l’equazione
“re del brivido+tanti libri venduti=robaccia da decerebrati”
non s’e’ mai accostata ne’ mai si accostera’ a un libro di Stephen King. E’ un peccato, per questa fetta di popolazione, ma me ne faccio una ragione.
A me piace leggere King perche’ scrive benissimo. I suoi romanzi si leggono con piacere per come sono scritti, per come quasi sempre le trame sono tutte cosi’ connesse che arrivi in fondo e non pensi che quella storia potesse avere un’altra fine. Se per caso avete mai avuto per le mani una versione in lingua originale vi sarete accorti di quanto questa cosa funzioni, e tanto di cappello ai traduttori italiani che riescono a mantenere il livello anche nelle trasposizioni nella nostra lingua.
It e’ uno dei romanzi piu’ conosciuti di King, ed uno dei piu’ belli per parecchi motivi. Uno di questi motivi (il come la storia e’ narrata, con continue alternanze di flashback e flashforward tra il 1957 e il 1984 a scandire i vari capitoli e a legare il tutto in modo magistrale) viene meno nella trasposizione cinematografica attualmente nelle sale. Questo e’ un problema per chi ha letto il libro, ma e’ uno dei problemi di questa pellicola strutturata esattamente come mille altre di questi tempi: un prodotto seriale che sfrutta un titolo famoso per fare incassi. Mandando in culo la storia, la logica, il pathos, l’introspezione dei vari personaggi, la spiegazione del perche’ certe cose succedono.
Il film si riduce al clown Pennywise (fatto benissimo, per la verita’, ma grazie al cazzo…) e ai palloncini, che seppure demode’ sono pur sempre un ottimo strumento di marketing. Ma allo stesso tempo definiscono il target vero di questa operazione economica: i teenager dei nostri tempi, sempre meno avvezzi a leggere libri, e sempre piu’ consumatori di serie televisive che vanno riproducendo di annata in annata sempre gli stessi identici stilemi. Facili da seguire, senza bisogno di accendere il cervello.
L’assenza del pendolare di capitolo in capitolo avanti e indietro nel tempo e’ ovviamente funzionale al capitolo 2, che ci sara’ prima o poi non perche’ lo vuole la storia, ma perche’ i botteghini hanno macinato biglietti su biglietti grazie al tam tam mediatico che ha preceduto l’uscita del film. E’ funzionale anche alla riduzione del budget (non devi avere due cast in parallelo, distanziati da 27 anni di eta’, quindi nemmeno ti poni il problema di fare il casting “a coppie”: Ben quattordicenne e Ben quarantenne, e cosi’ Beverly, e Mike, e gli altri), e forse (magari, ma non ci spero: e’ troppo lungo per i canoni dei best seller odierni. Con un It ci vengono sei FabioVolo, per dire) anche alla vendita del libro.
Lo spostamento temporale della storia dal 1957 alla fine degli anni ’80 e’ pure funzionale al target dei bimbimink teenager, che a malapena sanno che c’e’ stato qualcosa prima del 2000, figurarsi se potevano apprezzare un tuffo nel passato di tale portata. Il capitolo 2 sara’ ambientato ai nostri giorni, e cosi’ anche i rimandi musicali (di cui King e’ maestro nei libri) saranno adeguati ad un pubblico venuto su ad X-Factor e ad Amici.
Da It fu tirata fuori una miniserie tv, decenni fa. E’ una produzione a basso costo se la si paragona a quel che lo stars system tira fuori in un mese oggi, ma almeno manteneva la struttura splendida e lineare (si: lineare. Pare strano dirlo d’un libro che salta avanti e indietro ma e’ cosi’) del romanzo.
Il film di adesso tradisce tutto del capolavoro di King, non fa capire allo spettatore ignaro della storia perche’ succedono certe cose, e colpisce forse solo per l’ambientazione e la fotografia. Il resto fa veramente schifo.
Due di incoraggiamento (a lasciare stare certe sceneggiature), come i film fatti sino ad oggi dal carneade muschiato Muschietti, onesto manovale della macchina da presa e niente piu’.
Barney