L’apertura della versione itlaiana dell’Huffington Post mi e’ quasi indifferente, se non fosse che tra gli ultimi post della prima “prima pagina” c’e’ la segnalazione di questo lavoro di Darcy Padilla, una fotografa freelance americana.
“The Julie Project” non e’ una roba da bambini, ne’ da stomaci deboli: e’ la storia per immagini di una perdente americana; nata da una madre alcolizzata e da padre ignoto, violentata ripetutamente da uno dei compagni della madre sin dalla piu’ tenera eta’, Julie non poteva che trasformarsi in una homeless, diventare prestissimo una tossicodipendente e contrarre l’AIDS prima di aver compiuto i vent’anni.
Dal 1993 la Padilla ha fotografato Julie, e ha seguito la sua parabola discendente che ha trasformato la diciannovenne dei primi anni ’90 in uno scheletro quasi informe degli ultimi suoi giorni prima della morte.
un tuffo nella vita reale che non puo’ lasciare indifferenti: se avete il coraggio di guardare, fatelo e non ve ne pentirete.Quanto meno, Julia cambiera’ il vostro punto di vista sul mondo.
Rubo il titolo a Guccini per parlare di Lucio Magri e del suo suicidio assistito.
Da meccanicista convinto non mi riesce di concepire il suicidio come azione plausibile, e forse e’ per questo che nutro profondo rispetto per chi lo ha praticato o ci pensa seriamente. Spesso non ce la faccio a capire i motivi del gesto piu’ estremo che ci sia, altre volte invece e’ relativamente semplice comprenderne il perche’; il caso di Lucio Magri ricade nella seconda fattispecie.
Magri non era “tecnicamente” ammalato di una malattia incurabile: era depresso, molto depresso, si. Ma la depressione si puo’ curare, non e’ un cancro, ne’ la sclerosi laterale amiotrofica.
Magri pero’ aveva anche perduto la moglie da poco. E siccome era legatissimo alla compagna, ha deciso che non valeva la pena continuare a vivere da solo.
Ecco, questa cosa m’ha fatto pensare, da uomo, non tanto a come reagirei io nella sua medesima situazione (che la cosa richiederebbe un paio di mesi di autoanalisi, e forse non basterebbero), ma al fatto che non e’ la prima volta che un uomo decide, alla morte della compagna, di seguirla nel viaggio eterno. E siccome l’opposto accade meno spesso (sto facendo delle affermazioni basate sul numero di annunci mortuari che riportano “vedova” sotto il nome della novantanovenne morta di vecchiaia, nulla di scientifico, per carita’…), anzi secondo me molto meno spesso… allora ci deve essere una spiegazione.
Ne parlavo ieri sera con Mrs. Panofsky, e siamo arrivati alla ovvia conclusione che se e’ vero che i suicidi di mariti rimasti soli sono di piu’ rispetto a quelli delle mogli rimaste sole, allora cio’ significa che l’uomo regge molto meno bene della donna i dolori e gli sconquassi dell’anima.
La donna si riprende, continua a tirare avanti imperterrita spesso per anni dopo la morte del marito (le mie nonne sono sopravvissute ai loro mariti, una per una trentina di anni, cosi’ come la nonna di Mrs. Panofsky morta vedova a 103 anni mentre era in vacanza). L’uomo cade in depressione, e a volte si suicida. Sara’ una questione fisiologica, ci sara’ una componente evolutiva che spiega la cosa (e una potrebbe essere che le guerre le han sempre fatte gli uomini, e nelle guerre si muore parecchio, e le donne rimangono vedove ed han bisogno di altri mariti…), ma il dato di fatto e’ che le donne sopravvivono spesso ai loro compagni, e tirano avanti abbastanza disinvoltamente, parecchie volte addirittura cambiando compagno.
Ecco, tutto questo per dire cosa? Che le donne sono -da questo punto di vista e secondo il mio modestissimo parere- molto, molto piu’ forti degli uomini. E che chi non capisce il motivo del suicidio di Magri e’ un coglione insensibile, anzi diciamo pure una merda d’uomo che non ha mai amato una donna, cosi’ chiariamo meglio il mio punto di vista.
Chiudo con un brano da “D’amore, di morte e di altre sciocchezze”, la canzone piu’ famosa e piu’ bella del CD. Non parla espressamente di morte, ma e’ una delle piu’ belle dichiarazioni d’amore scritte dal cantautore di Pavana: Cyrano. Come dice il Guccio, “tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali!”
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)