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Il JWST, le prime immagini e i commenti

Siccome l’ha detto anche il tiggì, tutti sanno che tra l’altro ieri (con l’anteprima di Joe Biden) e ieri la NASA ha reso pubbliche le prime, splendide immagini ricavate dal James Webb Space Telescope -JWST per gli amanti degli acronimi-.

Spendo tre parole per la missione e lo strumento. Anni e anni di ritardo causati dalla complessità di ogni elemento del telescopio: un “parasole” a cinque strati che quando è aperto (ovvero, sempre) copre un campo da tennis inclusi i corridoi per il doppio, uno specchio fatto di 18 esagoni dorati che devono essere dispiegati e tenuti in posizione, un sistema di raffreddamento del sensore principale che tiene il CCD a qualche grado sopra lo zero assoluto (-267 °C. Lo zero assoluto è a -273 e spiccioli, e rizzati…). Il tutto pesa più di sei tonnellate, di cui quasi nulla è “satellite” e quasi tutto è “telescopio”. Alla fine della fiera, ci sono voluti più di quindici anni e più di 10 miliardi di dollari per metterlo attorno a un punto dello spazio molto particolare a 1,5 milioni di chilometri da noi, dove starà sperabilmente per i prossimi dieci anni o forse venti (grazie al perfetto lancio con Ariane, diciamolo con orgoglio tutto europeo).

Cosa se ne ottiene, da questa opera ciclopica? Certamente il JWST non aiuterà a far finire la guerra in Ucraina, nè debellerà la fame nel mondo. E purtroppo per noi non sarà di alcun aiuto per pagare le bollette del gas…

Quindi? Beh, dalle immagini del telescopio otterremo conoscenza, potremmo vedere oggetti così lontani nello spazio e nel tempo che la luce che ci arriva è probabilmente l’unica cosa che di essi ancora rimane, studiare l’evoluzione dell’Universo e definire sempre meglio cosa è successo nei suoi primi istanti di vita; magari riusciremo anche a capire se e come finirà tutto, un giorno lontano. Le immagini da sole sono veramente incredibili, se le si paragona a quelle ottenute qualche anno fa da Hubble:

Hubble (sx) Vs. JWST (dx), stessa porzione di spazio

Qua trovate tutte le immagini sin qui processate, e qualsiasi info sul telescopio spaziale.

Ora, essendo io uno che lavora nel settore riciclagg spazio, sono due giorni che leggo su LinkedIn commenti entusiasti su quanto son belle ‘ste prime foto del James Webb. E si, sono belle, per carità. Ma nessuno dei personaggi che seguo è andato oltre le tre o quattro emoticon da boomer, le espressioni di orgasmo tecnologico, il “se non l’hai già come sfondo del desktop sei un idiota” e i complimenti alle agenzie spaziali coinvolte.

Nessuno, mi pare, s’è fermato a guardare questa splendida foto (che per inciso NON ho come sfondo del desktop, quindi sono un idiota)

e ha commentato “ma come si fa a pensare di essere soli, in questo Universo”?

Ecco, io penso che il JWST darà molto lavoro anche ai filosofi…

Questo pezzo l’ho già messo da qualche parte, ma sta dimolto bene anche qua.

Barney

Filosofia da muro #167 (hat trick: Pendolante)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo uno scatto dalla “Pendolante” Katia.

Siamo a Modena, e su una colonna moderna Katia ha trovato questa tenera scritta tra virgolette:

Chissà quali sbagli lascerebbe passare questƏ innamoratƏ al suƏ amorƏ (ok, ora anche basta con il simbolo del neutro inclusivo a tutti i costi, che già mi sto sulle scatole da solo, eh?)… Corna? Non avere alzato la tavoletta del cesso prima di fare pipì? Errore nell’acquisto del detersivo per piatti? Cottura della pasta ben oltre il tempo stabilito dalla confezione?

Non lo sapremo mai, e a me resta il dubbio che il virgolettato sia una citazione da canzone sdolcinata di qualche italico cantore di amori dilaniati, dubbio che non ho alcuna intenzione di fugare.

Invece sarei curioso di capire cosa sta a significare il “96” lì sopra. Un anno? Oppure è una runa nazista camuffata da una seconda mano? O cos’altro?

Nel dubbio, propongo di ascoltare i God is An Astronaut, band irlandese di un certo spessore musicale e probabilmente del tutto sconosciuta ai più.

Rimediamo subito con un pezzo da un loro concerto:


Barney