ADP mi manda un bello scatto parigino, che merita sicuramente la pubblicazione:
Pur non essendo su un muro, la scritta ha una bella verve rivoluzionaria.
Per i non francofoni, c’è scritto: “leggere è disobbedire, scrivere è peggio“, che a me fa subito venire in mente Orwell. Ma è molto bello il contesto della finestra scrostata con il buco a forma di cuore da una parte e quello quadrato a sinistra, la luce che va solo sulla scritta e pure il soglio della finestra quasi a sottolineare il resto.
La colonna sonora ideale, che confeziona il tutto come il fiocco sul pacco regalo, mi sembra questa qua:
Sto davvero cominciando a pensare che la civilta’ occidentale sia vicina al precipizio, se non gia’ con due piedi nel baratro.
I fatti: al lavoro stanno facendo dei colloqui di selezione per assumere un PA junior. Un PA sarebbe quello che si occupa di Product Assurance, La Product Assurance sarebbe a sua volta un processo per il quale un’azienda fa in modo che i requisiti del prodotto x, richiesto dal cliente y, siano rispettati sia qualitativamente che temporalmente, e che tutta la produzione sia efficiente.
Il ruolo del PA in un’azienda qualsiasi genera spesso reazioni un po’ sopra le righe da parte dei colleghi, che si sentono impastoiati da norme, regole, controlli, richieste di report e prove… Tutto cio’ spesso sfocia in pacate proteste verso il PA, uno dei classici parafulmine buono per ogni stagione. Proteste come questa qua:
Bene. S’era detto che ci sono selezioni per junior PA. I colleghi che si occupano della cosa ricevono una rosa di candidati da cui molti sono gia’ stati esclusi per via del loro curriculum vitae, o a seguito di un primo colloquio via Skype . Arrivano quindi quelli che teoricamente rappresentano il meglio di coloro che hanno applicato per la posizione.
I colloqui di selezione, essendo la posizione “junior”, mirano a capire quanto la persona sia adatta in prospettiva al compito, dal punto di vista tecnico ma anche come carattere. L’esperienza non puo’ esserci, o se c’e’ e’ davvero limitata.
Alla fine del colloquio di selezione a tutti i candidati vengono fatte due domande che hanno lo scopo dichiarato di vedere come ragionano di fronte a problemi nuovi. La prima domanda ha una certa attinenza al lavoro che dovrebbero fare se fossero assunti, e non credo interessi a molti.
Ma la seconda si’: “Secondo te quanti matrimoni sono stati contratti l’anno scorso in Italia?“.
E’ chiaro che lo scopo NON E’ quello di assumere chi si avvicina di piu’ al numero esatto, ma vedere il processo logico che porta ad un qualunque risultato. Il candidato viene quindi invitato a raccontare come sta ragionando per arrivare alla stima finale.
E qua pare esca fuori di tutto. Due candidati in particolare si sono distinti nel compito. Uno e’ partito dal numero di chiese esistenti nella sua citta’ e poi ha tirato fuori cifre da vincita alla lotteria di capodanno (tra l’altro la domanda non fa differenza tra matrimoni civili e religiosi, e quelli civili sono la maggioranza).
L’altro ha iniziato cosi’: “Mhhh… la mia citta’ ha 100.000 abitanti, citta’ come Milano ne avranno 200.000, poi bisognerebbe moltiplicare per il numero di citta’… In Italia ci saranno due milioni di persone…”. Sconfortante.
Questi due sono i casi eclatanti, e abbiamo parlato per adesso solo dell’inizio dei ragionamenti: trovato un numero di abitanti in Italia si deve andare avanti a determinare un sottoinsieme di “sposabili” ogni anno, e poi assumere quanti di questi “sposabili” si sposa davvero .
Buona parte dei candidati parte con considerazioni localissime da cui cerca di estrapolare informazioni di scenario generale. Il processo e’ sicuramente valido, ma se vuoi che abbia successo hai bisogno di parecchie informazioni di contorno che contestualizzano il tuo particulare e ne fanno il quadro d’insieme.
Evidentemente tali informazioni di contorno e alcuni dati di massima (per dire: il numero di abitanti dell’Italia e’ un dato che ciascuno dovrebbe avere almeno come ordine di grandezza. Il numero di regioni, quello delle province…) non ci sono. E non ci sono in neolaureati, giovani che han passato circa vent’anni della loro giovane vita a studiare.
Mancano queste informazioni nozionistiche, ma manca soprattutto la capacita’ di affrontare uno scenario sconosciuto con il ragionamento logico. Manca la capacita’ di improvvisare, il pensiero laterale insomma.
Tutta la societa’ e’ responsabile di questo stato di cose: la scuola ovviamente, ma ancor prima la famiglia. Gli smartphone che ti fiondano in un mondo di microtribu’ sui social network da cui uscire e’ faticoso, e le serie tv che ti danno le coordinate del tuo orizzonte degli eventi: la prossima stagione/la prossima puntata.
[Questo pezzo e’ dedicato a dem, morto ieri l’altro a 45 anni. Sarebbe stato interessante avere il suo parere]
Quando facevo il liceo, un secolo fa, la nostra insegnante di francese ci mise in contatto con una classe di nostri coetanei transalpini di Amiens, una citta’ che e’ nel nord della Francia, quasi in Belgio.
Lo scopo era quello di esercitare la lingua straniera per corrispondenza, scrivendo quelle robe su carta che si mettono nelle buste con francobolli, poi si spediscono e prima o poi arrivano a destinazione. Lettere, insomma, di quelle vecchio stile. Scritte a mano e rigorosamente in francese.
A me capito’ una ragazza (che solo la mia cavalleria mi impedisce di definire “bruttina”), e come succede quasi sempre in questi casi a un certo punto le due scuole organizzarono una settimana di scambio culturale, con visita nei rispettivi paesi e pernottamento nelle famiglie degli amici di penna.
Tocco’ prima a loro venire da noi, e dell’esperienza ricordo poco o nulla. Al momento di restituire la visita optai saggiamente per una settimana bianca, poi le lettere si interruppero e dell’amica di penna di quel tempo la’ non so piu’ nulla.
Tra le poche cose che ho ancora ben presenti di questa chiamiamola esperienza c’e’ il giorno che accompagnammo i francesi a Pisa. La gita si svolse tutta in Piazza dei Miracoli, direi tutta attorno alle bancarelle di ciarpame da turisti che all’epoca circondavano il prato del battistero e del duomo, e che oggi sono state spostate fuori dalle mura. I francesi sembravano attratti da quella paccottiglia come falene dalla luce dei lampioni, e si riempirono di qualsiasi oggetto potesse ricordar loro la gita in Toscana.
Tra i souvenir piu’ gettonati ovviamente le riproduzioni della torre pendente, credo nessuno se ne fece mancare una, con gioia dei venditori che quel giorno dettero fondo a tutte le loro scorte.
Un ragazzo pero’ se ne porto’ a casa una enorme, venduta dagli scaltri ambulanti come “lampada da arredo”. Sara’ stata alta almeno un metro, e il cavo era cosi’ lungo che facemmo tutto il viaggio in treno sganasciandoci dalle risate perche’ uno dei miei compagni aveva ipotizzato che nel prezzo -ingente- dell’oggetto fosse compreso anche un allaccio elettrico alla rete italiana.
Ci si divertiva con poco, i primi anni del liceo.
Ieri, sul solito treno che mi porta a casa dal lavoro sono salite alla stazione di San Rossore (quella accanto a Piazza dei Miracoli) mamma e figlia.
Francesi.
Anche loro avevano fatto shopping, e il risultato lo vedete qua sotto:
Non so se pure queste torri hanno il cavo transoceanico, ma m’e’ venuto in mente che aggeggi del genere (di quelle dimensioni, dico) in guisa di torre Eiffel o anche di Big Ben io in giro ne vedo pochi.
Deve essere una prerogativa dei francesi, volere la torre grossa: mi garberebbe vedere dove la mettono, nelle loro case, una roba cosi’ kitsch che io personalmente non userei nemmeno come fermaporta.
Ma i gusti son gusti, no? Per esempio, Brassens va benissimo per chiuderla qua.
“Sono contrario all’utilizzo dei preservativi. Abbassano il piacere e
interrompono il momento… fidetevi di me, che non li uso… non salvano
nemmeno dall’Aids. La condizione ideale è quella di avere un solo uomo o
una sola donna nella vita… la moglie sottomessa cristiana è la pietra fondante, la pietra su cui si edifica la famiglia“
La frase qua sopra l’ha detta Mario Adinolfi, giornalista e direttore de “La Croce“, giocatore di poker e blogger [1] piddino con rigurgiti medievalisti, il 17 gennaio 2015.
Quando inorridiamo -giustamente- ai proclami da uomini delle caverne di questo o quell’Imam del cazzo, ricordiamoci per favore che ci sono anche fior di cattotalebani in giro per le strade. E che le stronzate sono stronzate sia se vengono dette da AlCazzaqr, supremo capo dell’ISIS, sia che le dica il signor Adinolfi, moderno crociato dell'”armiamici e partite” di benemerita memoria e fervente cattolico di ritorno, un po’ come Magdino Cristianino Allamino insomma.
[1]: che stracazzo di mestiere sia “blogger” lo devo sempre capire. Pero’, tutte le volte che qualcuno si professa “blogger”, mi viene da pensare che esistono mestieri meno dignitosi della puttana o dello spacciatore.
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)