In un futuro prossimo la Terra e’ stata resa inabitabile da un esperimento sul controllo del clima che ha fatto precipitare il pianeta in una nuova, perenne glaciazione. I sopravvissuti sono una manciata, tutti stipati su un treno che compie un giro di quasi 500.000 chilometri in un anno, senza mai fermarsi, toccando quattro continenti. Il treno e’ autosufficiente in tutto e si muove grazie ad un motore piu’ o meno perpetuo, che fornisce energia a tutti i vagoni e le sezioni del convoglio.
Siamo dalle parti della fantascienza classica, come spunto iniziale; il treno altro non e’ che una astronave generazionale, un habitat chiuso che permette alla storia di concentrarsi su aspetti piu’ sostanziali, e lo stesso habitat permette al regista di giocare con lo spettatore su vari livelli interpretativi.
Gia’ la composizione del convoglio e’ metaforica (e ce lo racconta anche Tilda Swinton in una delle scene piu’ cruente del film, all’inizio): c’e’ una coda piena zeppa di poveracci che campano grazie ai rifiuti della testa, dove i ricchi viaggiano in vagoni-discoteca, vagoni-sauna, vagoni-ristorante di extra lusso, e cosi’ via. La parte centrale del treno e’ dedicata alla produzione di acqua, di cibo (uno schifo per i poveracci della coda, carne e verdura fresche da vagoni-fattoria e acquario per i ricconi). Il centro di comando e controllo e’ la locomotrice, che ospita Wilford, il creatore del treno e l’attuale Deus ex Machina. La lenta e (molto) sanguinosa risalita della feccia della coda verso la locomotiva e’ sia metafora della rivalsa sociale, sia espiazione del peccato originale in un’ottica religiosa (il peccato si lava via col sangue, in questo caso), il vagone-scuola e’ forse la scena piu’ inquietante per come dimostra quanto siano plasmabili le menti dei bambini, i vari ambienti naturali -del tutto improbabili come dimensioni ed estensione in un treno normale- una specie di reminder su quanto sia indispensabile la natura per la sopravvivenza dell’uomo.
Prima di Wilford c’e’ il vagone dei ricchi strafatti dal kronol (una droga sintetica derivata dai rifiuti industriali), anche questo probabilmente ha un senso metaforico. Come ha senso metaforico il fatto che i sopravvissuti, alla fine, siano quelli che vedrete saranno.
Il finale puo’ spiazzare: a me non e’ dispiaciuto. L’unico motivo che posso portare a supporto del mio giudizio senza svelare nulla e’ che mi ricorda moltissimo l’ultima pagina di “The road” di McCarthy.
Ah, quasi dimenticavo: il film e’ sceneggiato su una serie a fumetti francese –Le Transperceneige– che Joon-Ho ha letto per caso e che l’ha fulminato. Il fumetto e’ pubblicato da qualche settimana in italiano, dalla Corno.
Ri-ah, infine: nel muso del treno ho rivisto il Goblin verde che adorna il terribile camion di “Brivido“…
Giudizio finale: da vedere.
Barney