Si inizia con un’infodump a tutto schermo.
Scritto piccolissimo.
Per quelli che non hanno visto il Blade Runner originale, e per contestualizzare la storia che si svolge trent’anni dopo il film di Ridley Scott. Due parole in rosso, per i piu’ tardi: “replicanti” all’inizio, e “blade runner” alla fine.
Si parte quindi con le immagini, splendide davvero e saran cosi’ per tutto il film. E c’e’ subito un lavoro in pelle da ritirare per l’Agente K, un Ryan Gosling che anche se non ci diceva che era un replicante si sarebbe capito dalla monoespressione che tiene per tutto il film. Non ci sta male, sia chiaro. Ma e’ cosi’.
Il film ha pretese di capolavoro (alcuni ne parlano come di un prodotto migliore dell’originale. Mah…), ma oltre che cercare -e trovare- agganci col primo ne vuole ricalcare anche lo schema, in quasi tutti i personaggi. Cosi’ al posto di Deckard abbiamo K, al posto della Tyrrel Corporation e del suo fondatore ora c’e’ la Wallace e il suo fondatore (con Jared Leto simpatico come una ciaffata nel muso), al posto di Rachel ci sono ben due donne (una virtuale, ovviamente).
La Los Angeles del 2049 e’ molto piu’ bella di quella del 2019 (la tecnologia cinematografica ha fatto passi da gigante, in questi anni), i cartelloni luminosi sono ancora piu’ enormi, ogni tre per due si legge “SONY” (sara’ un caso che SONY Pictures distribuisce il film? Non credo…) e c’e’ anche una splendida ATARI per nerd nostalgici.
Oltre la fotografia (davvero da applausi) e gli effetti scenografici manca pero’ il decadente pathos che permeava l’opera tratta dal racconto di PK Dick, e il finale farraginoso lascia l’amaro in bocca.
Un film alla fine decente, con alcune buone trovate e un Harrison Ford che alla fine fa quel che negli ultimi anni gli riesce meglio: il padre vecchio di un personaggio chiave.
Pensavo molto peggio, via.
Barney