Archivi tag: Afterhours

Filosofia da muro #164 (hat trick: ADP)

Ammennicoli di Pensiero mi spedisce questa scritta ambigua, da Milano e più precisamente da Zona Bastioni, porta Venezia:

La frase sembra perfetta come incipit di un giudizio apodittico su qualcuno, magari un abitante del palazzo, magari uno (o una, per carità) che inizia qualcosa e non finisce mai, e mi immagino faccia lo stesso con -appunto- tutte le sue frasi. Potrebbe essere un’accusa di incompiutezza per un amore che si promette ma poi non si manifesta, un eterno “oggi no, domani forse, dopodomani di sicuro”, o la protesta (in)civile dopo l’ennesimo appuntamento bucato dall’incompiuto.

Potrebbe, ma temo che la spiegazione sia molto meno poetica.

Una veloce passata di Google mi informa infatti che la scritta non è altro che il titolo di una canzone di un certo DiNotte, di cui non so altro ma immagino sia meneghino e di cui non vi faccio ascoltare il pezzo perchè non mi piace per nulla.

Quindi, per rimanere geograficamente in tema metto una bellissima versione unplugged di “Strategie”.

Barney

Matematica elementare per leghisti e grillini

Come tutti sappiamo, il grande problema italiano dell’ultima settimana sono i sacchettini biodegradabili che ci costringono (!!!1!!uno!!) a comperare a due centesimi di Euro al pezzo al supermercato per metterci dentro frutta e verdura sfusa.

E’ sicuramente un problemone, che ha giustamente eclissato qualsiasi discussione su fine vita, unioni civili, femminicidio, crisi economica, tasso di disoccupazione, vaccini, manovre fiscali e financo le scelte dei candidati alle prossime elezioni di marzo.

L’indignazione e’ sorta spontanea nel popolo, che vessato da tasse e balzelli (non ultimi gli impercettibili aumenti del 5% su bollette del gas e dell’energia elettrica, che rispetto al problema dei sacchetti biodegradabili sono sciocchezzuole, un aggravio medio di qualche centinaio di Euro all’anno per famiglia e’ davvero niente se lo si paragona ai sacchettini) ha giustamente invaso i social con una civile e intelligente ondata di proteste.

Si va dalla geniale trovata di etichettare ogni pezzo di frutta e verdura singolarmente -cosi’ da evitare l’ignobile gabella e nel contempo minare le fondamenta economiche della Grande Distribuzione Organizzata, costretta a far fronte al decuplicarsi dei consumi di etichette (salvo scoprire alla cassa che un’etichetta conta come un sacchetto)-, all’invocazione di sportine di tela/di rete/Louis Vuitton che ciascun consumatore attento potrebbe portarsi da casa, al consiglio di boicottare per uno/due/dieci mesi sia la GDO che le farmacie (pure loro inserite nel bieco commercio dei sacchettini da 2 centesimi a pezzo). Tutte trovate geniali, a tutela del consumatore vessato da questa immonda burocrazia che fa gli interessi di amiche/cugine/ganze di Renzi, le uniche al mondo a produrre siffatti sacchettini biodegradabili.

Che poi pare che tanto biodegradabili non siano: dice chi li mette nella compostatrice che essi mantengono la forma a sacchetto per una/due/dieci/centotrentasei settimane consecutive…

In attesa della marcia su Roma, capitanata da un improbabile trust di cervelli formato da Di Maio-Salvini-Meloni, la gGente si chiede a quante migliaia di Euro dovra’ rinunciare nel 2018 per colpa di Renzi E dell’Europa: ho sentito cifre vicino ai 100 Euro, gente (anzi, gGente) che sostiene che in dieci anni di sacchettini ci si potrebbe comperare un viaggio a Bali, e altre amenita’ simili.

Ora, se un sacchetto costa due centesimi di Euro (per leghisti e grillini: 0,02 Euro), e se si ipotizzano tre spese settimanali al supermercato, in cui ogni volta si comprano sei diversi tipi di frutta e/o verdura, ora dicevo che siccome le settimane sono 52 il totale per famiglia per anno ammonta a meno di 20 Euro (!!111!!uno!!).

“Si, ma e’ una questione di principio, cribbio!” Dira’ il puro contestatore, postando un commento dal suo smartphone di ultima generazione pagato una seicentina di Euro (che a casa mia fanno trentamila sacchettini…) su Amazon.

Puo’ essere, ma allora mi si permetta di essere assai pessimista sullo stato complessivo del popolo italiano. E di aspettarmi il peggio, in questi tre mesi scarsi di campagna elettorale.

 

 

Barney

Filosofia da muro #113 (hat trick: adp)

Ammennicoli di Pensiero (adp, si fa prima) mi manda questa foto, che non so dove sia stata scattata -Milano?- ma piace a lui e piace a me:

dav

Siamo tutti contenti per Marta, che ha trovato un’amica, piccola al limite del nanismo.

Una mano sarcastica ha vergato (PRIMA della scritta incriminata, come se premonisse il futuro graffito) una scritta a malapena leggibile sotto la “S” bicolore, che inizia con “Friendzone level” e si perde in qualcosa per me illeggibile e proprio per quello interessantissimo.

Tremo al pensiero di quel che puo’ essere quella parola che finisce con “ello”…

Come premesso ad adp, chiudo per l’ennesima volta con la iena. Piccola come la nana, ma piu’ cattiva.

E poco adatta alla friendzone.

 

 

Barney

 

 

Il Paese e’ (ir)reale

Sono di ritorno da una due giorni in giro per -soprattutto- aeroporti, in cui ho avuto modo di verificare -sempre ve ne fosse il bisogno…- uno dei motivi per i quali l’Italia arriva sempre dopo la banda.

Ho avuto davanti due CEO (ossia due amministratori delegati) di due aziende, una grande (circa 800 dipendenti), l’altra enorme (40.000 dipendenti). Mercato aerospaziale e difesa, quindi per definizione globale e ancor piu’ per definizione strategico.

Tra le tante cose che accomunano i due (ottimo inglese pur non essendo nessuno dei due inglese, preparazione notevole sulle innumerevoli cose che fanno le due aziende, brillantezza nell’eloquio) quella che e’ saltata piu’ ai miei occhi e’ stata l’eta’. Il piu’ vecchio, quello dell’azienda enorme, ha 48 anni.

L’altro non arriva a 40, anzi credo ne abbia appena 35.

Mi chiedo se avremo mai in Italia una situazione del genere (retoricamente; la risposta e’ “col cazzo che l’avremo”), con aziende che fatturano miliardi di Euro guidate da un neanche cinquantenne che s’e’ presentato sul palco di Monaco di Baviera appena dopo essere rientrato da una conferenza negli USA, che ha spaziato su decine di argomenti a braccio, con slide di sottofondo (parete di dieci metri per tre) fatte solo di fotografie di aerei, satelliti e razzi. Senza una scritta in Comics Sans, magari gialla su sfondo blu come ho visto fare migliaia di volte in Italia[1].

Uno dei motori del cambiamento e’ il ringiovanimento della classe dirigente, e qua il ringiovanimento piu’ clamoroso lo ha portato uno come Matteo Renzi, profittando di congiunzioni astrali irripetibili e uniche, aggiunte alla capacita’ di cavalcare l’onda empatica del malessere nazionale. Piu’ che un ringiovanimento mi e’ sembrato un rimescolamento, perche’ di novita’ fattuali non mi pare ne abbia portato. A discorsi si, ma si sa che i discorsi li porta via il vento.

Ma torniamo a noi.

Stamani il CEO quarantottenne era accompagnato dal suo top management. Anche li’ i giovani non mancavano, e anche stavolta il paragone con l’Italia e’ impietoso. Basti dire che io (il cinquantenne italiano) abbassavo notevolmente la media dell’eta’ della pattuglia nazionale industiale, formata da ben tre persone.

La finisco qui, lascio a Manuel Agnelli il commento musicale.

[1] mi piacerebbe sapere a chi e’ venuta per prima l’idea di usare il Comics Sans per una presentazione che non sia quella di un bambino di terza media. Probabilmente ad un CEO italiano di almeno sessant’anni, che ha visto usare powerpoint dalla nipotina…

Barney

 

 

Filosofia da muro #102

Ogni tanto trovo qualcosa anche io, tipo oggi.

Mi sono imbattuto sotto casa in questa nuova scritta, sul muro di un hotel 5 stelle chiuso per mancanza di clientela:

mesiversario

Uno attento alle ricorrenze come me (che le canno tutte) non puo’ non essere incuriosito dalla mente di chi ha vergato la scritta, infarcita di cuoricini e cuoricioni e firmata con una sorta di glifo che unisce -immagino- le iniziali dei nomi dei due che festeggiano.

Che poi in realta’ festeggia solo uno/una, ossia chi ha scritto. Dell’altra meta’ della coppia nulla sappiamo, ma a parte questo due cose noto: il fatto che festeggiare tutti i mesi il mesiversario puo’ portare all’internamento in psichiatria in breve tempo (direi tre o quattro mesiversari…), e soprattutto l’infelicissima scelta del muro su cui lasciare la scritta.

La grata di ferro battuto che prima dava luce e aria alle cucine sovrasta infatti adesso la scritta, come un memento mori in tre dimensioni, a rammentare al tapino scrivente che sovente l’amore si tramuta in gabbia…

E a volte nella gabbia c’e’ una piccola iena.

 

Barney

 

 

 

Filosofia da muro #86 e #87 (hat trick: Ammennicolidipensiero)

C’e’ un nuovo pusher di scritte murarie, in giro.

Ammennicolidipensiero mi ha spedito un po’ di materiale interessante, che pubblico volentieri iniziando da una combo che ha praticamente gia’ scritto sopra il titolo del commento musicale che chiudera’ il pezzo.

Sono due scritte “classiche”, di quelle fatte a  pennarello su un muro da adolescenti in crisi ormonale, e sotto ciascuna la mano cinica ma saggia di un compagno piu’ navigato a chiosare apoditticamente, tranciando speranze e ardori giovanili:

nullaepersempretantovilasciate

Nella prima il sentimento e’ espresso da mano presumibilmente maschile, con data precisa a definire l’ambito temporale del sentimento. Sotto, una calligrafia femminile (forse addirittura la Chiara della dedica) che non lascia scampo al poveraccio. Nel mezzo si intravede qualcosa, forse addirittura un’altra data cancellata, a dimostrazione di quanto caduca fosse la prima scritta, e quanto vera invece la seconda.

La foto sotto e’ un classico intramontabile: i nomi di due piccioncini uniti dal “+” e con un cuoricino a chiarire che non e’ amicizia quella che li lega, e sotto una scritta che guarda al futuro, per Sam e Giulia non proprio roseo. Magari questa mano e’ di un rivale di Sam, qualcuno che s’e’ innamorato pure lui di Giulia, e che presagisce -o spera- una veloce separazione. O magari Sam non e’ un Samuele, e’ una Samantha (mi raccomando, con la “h”), che non ci sarebbe nulla di strano. E il rivale e’ una rivale, vai a sapere.

Quello che invece e’ sicuro e’ il brano musicale:

 

Barney

In busta chiusa, lettera “P” di Politica (e di Punk)

p_barney

“The best argument against democracy is a five-minute conversation with the average voter”

E’ Winston Churchill, e la frase è il migliore epitaffio al suffragio universale che sia mai stato scritto. Potrebbe già bastare, credo. Se uno volesse altre prove, potrebbe leggersi qualunque post su facebook d’un grillino, o d’un leghista presi a casaccio: rafforzare le proprie convinzioni fa crescere nel carattere, si dice…

Ma io vado oltre, che scherziamo? Devo parlare di Politica, ma siccome tra le parole che potevo scegliere c’era pure Punk parlerò anche di musica. Di musica politica. Non di politica musicale perché non ne sono capace, ne’ degno. Ma di punk -e di musica in generale- come espressione d’una ribellione anche ad una certa politica si, perché no?

Sarà una busta che contiene molta musica, quindi. Auguri.

Mi tocca iniziare citando per l’ennesima volta gli Zen Circus, con questa versione di “La democrazia semplicemente non funziona”:

che ha nella maglietta di Qqru la summa theologica che travalica pure il pensiero di Churchill: Io credo nei Ramones. Il sottinteso è “col cazzo che credo nella politica, e figuriamoci se credo nella democrazia“. E come possiamo dar torto agli Zen, se il governo Renzi è espressione più d’un accordo tra bojardi che il risultato di elezioni -che peraltro NON CI SONO STATE-? E il precedente orribile governo Monti, allora? E il governicchio Letta (povero Enrico, brava persona ma hic sunt squalones, bimbo…)? E quelli di prima? Via, ragazzi: votare non serve, far scegliere al Presidentissimo nemmeno… resta la riffa di fine anno, chi fa cinquina per primo è ministro, chi fa tombola è Premier. Meglio, no? Si risparmierebbero soldi e tempo, tanto  la democrazia non funziona, molto semplicemente.

E torniamo agli Zen. O ai Ramones, che è anche meglio:

Ma una sana deriva anarchica, allora? Un bellissimo “Don’t know what I want but I know how to get it“? Non vi danno un clamoroso senso di deja vu’ (o entendu) i Sex Pistols? “Non so cosa voglio, ma so come ottenerlo”: più che a Johnny Rotten e Sid Viciuos uno pensa a “Mafia Capitale”, ad appalti truccati, ar magna magna che accomuna destra e sinistra in un continuo scoprire modi nuovi di ottenere ciò che non si sa bene cosa sia (oddio, in realtà si capisce benissimo…):

D’altra parte “How many ways to get what you want I use the best I use the rest“…
Tout se tient, ça va sans dire.

Certo, il comunismo… Ah, signora mia! Quando aveva addaveni’ Baffone a sollevare i Lavoratori contro le angherie dei Padroni… E poi anche lui (o Lui?) s’e’ adeguato all’andazzo generale e ha salutato veramente il signor Padrone. Sull’attenti, scattare, salut’arm! E via a fare affari con l’antico nemico, che lo sterco del dimonio non è più il denaro, ma il sudore. E di risaia siamo stufi, e a casa nostra vogliamo andar!

Ma anche il comunismo è ormai morto, Dio anche e non è che io stia poi benissimo… Da noi, ora come ora, gli unici due partiti che riscuotono consensi crescenti sono i M5* e la Lega. Entrambi han capito dal Maestro (Silvio, chiaramente) e dallo studio dei classici (Joseph Goebbels) cosa ci vuole per ottenere il successo elettorale in un’epoca in cui cultura e conoscenza sono appannaggio di pochi: populismo in dosi massicce, ricerca di un nemico cui addossare le colpe, e continua ripetizione di una bugia sinchè essa non diventa verità. Da piani diversi e su strati di elettorato differenti Grillo e Salvini intercettano l’assoluta mancanza di fiducia nella “vecchia” politica da Prima Repubblica. Il primo Renzi ha giocato le stesse carte con meno astio, e ha ovviamente trionfato davanti al nulla assoluto rappresentato dai suoi avversari. Poi, s’è svegliato tutto bagnato e ha cominciato a capire che non basta promettere, declamare, annunciare: se governi devi fare.

Ecco: il fare è la parte che in assoluto manca di più ai politici nostrani. Il fare per noi, intendo. Perché per molti di loro “fare” qualcosa -o molto- per se stessi ed i relativi famigli è l’imperativo categorico, per dirla alla Kant.
Manca molto la consapevolezza del momento, della società, di quanto costa un chilo di pane o un litro di latte, di quanto sia difficile trovare un posto all’asilo per tuo figlio se non sei Ministro, di come tirare avanti se fai l’operaio -ma pure l’impiegato in ufficio- e devi pagare mutui e bollette. Manca perché adesso questi non sono più problemi loro. Rimangono nostri, e chi dovrebbe governare distoglie l’attenzione dal resto con ricorrenti falsi bersagli, o con dosi massicce di retorica vuota. Il paese reale è altro, ma chissene:

A chi non fa politica – a chi la subisce, stavo per scrivere- mancano sia le opportunità sia -diciamocelo- la volontà di reagire costruttivamente a questo stato di cose che si autoalimenta da decenni e decenni, con i politici che coltivano cloni di loro stessi perché ne vengano sostituiti al naturale decadimento degli originali. Credo che molto dipenda, di nuovo, dall’assoluto appiattimento culturale in cui viviamo, di cui molta colpa ha la standardizzazione cerebrale operata dalla televisione. Reality e talk show definiscono oramai gusti musicali, sessuali e culinari; la politica è stato solo il primo passo.

Che triste sfilata, come cantava Mike Stipe:

When I tried to tell my story
They cut me off to take a break.
I sat silent 5 commercials
I had nothing left to say
The talk show host was index-carded
All organized and blank
The other guests were scared and hardened
What a sad parade…

Barney

 

In Busta Chiusa n. 16, un progetto di Cartaresistente
Lettera P di Barney Panofsky

Illustrazioni di Davide Lorenzon

La palla al balzo, il laccio al braccio

Vorrei aiutare la piccola iena M. Salvini, che oggi ha donato un po’ del suo sangue per la causa politica (della solidarieta’ gli importa una sega, diciamolo subito ai leghisti che si dovessero imbattere nel post), indicandogli un po’ di date da onorare con altre piazzate tipo quella odierna.

salviniDONAL’idea iniziale in realta’ era quella di fare un fotomontaggio con M. che diceva: “Donazione di sperma FATTA!!!1!!!1!”, poi pero’ era troppo anche per me, quindi ripiego su un po’ di date di giornate mondiali a caso, scelte per permettere al nuovo PadrePio (e’ ubiquo come il fraticello che si bùava le manine da solo, il nostro buon Salvini…) di ripetere la performance di oggi.

Si comincia col 20 giugno, sabato prossimo. E’ la giornata mondiale del rifugiato, sono certo che Matteo ospitera’ in casa sua sei o sette eritrei e li nutrira’ di cassuoe cassol insomma di come cazzo si chiama quella roba lombarda li’.

Poi il 26 giugno il buon Salvini potrebbe ritornare sul lettino sul quale posa oggi visto che e’ la giornata internazionale della lotta contro l’uso indebito e il traffico illecito di droghe. Ovviamente a dire che NON ci si deve drogare, vedi mai che ti vengono i vaccini [1]

Lo stesso giorno Matteo potrebbe anche esprimere solidarieta’ ai manganellati della Diaz, essendo la giornata mondiale di solidarieta’ alle vittime della tortura

L’8 settembre suggerisco a Matteo cimentarsi nel dictée alla francese (magari in lingua padana, facciamola semplice, dai): e’ infatti la giornata nazionale dell’alfabetizzazione.

Il 16 settembre e’ la giornata internazionale per la preservazione della cappa di ozono, e vedo bene Matteo a farsi fotografare con un bello scudo stile Pontida che ci protegge dai raggi UV.

Mi trovo in difficolta’ a suggerire qualcosa, infine, per il 10 ottobre. E’ la giornata mondiale della salute mentale

[Mi scuso con gli Afterhours e con questo splendido pezzo, ma ci sta troppo bene]

[1]: mi riferisco a questa roba qua, che poi magari qualcuno ci crede davvero e si incazza, e invece e’ una presa per il culo degli antivaccinari. Ma ai leghisti va detto prima.

Barney

Serve a qualcosa ricordare?

Dopo l’accoppiata “25 aprile – 1 maggio” il qualunquismo destrumane tipicamente italiota (cresciuto a botte di Berlusconesimo militante e rafforzato da quarant’anni di lavaggio del cervello televisivo condito da botte quotidiane di MariedeFilippi, GiancarliMagalli, Maurizi “Buonecamicieatutti” Costanzi e altri domatori di neuroni di tal fatta) esce fuori.

Sempre.

Tutti gli anni.

Sabato sera prima del concerto di Canali mi son trovato a guardare una mostra fotografica nel posto dove poi avrebbero suonato. Erano foto d’epoca, diciamo dagli anni trenta agli anni ’70 del secolo scorso, e illustravano non solo vari scioperi, comizi, manifestazioni… ma anche lavori che oggi non esistono piu’. Tra le cose che mi hanno davvero colpito una serie di foto di fiascaie, e molte immagini di lavoratori all’interno di fabbriche di fiammiferi.

Questa qua sotto e’ proprio una delle foto che ho visto sabato:

FiascaieRigattiOggi i fiaschi (spero tutti sappiate cosa e’ un fiasco…) resistono in selezionate osterie da VIP, oppure sono impagliati con della plasticaccia che fa schifo a guardarla, immaginarsi a toccarla. Non so se almeno il fiasco di Gallo Nero e’ sempre venduto nel fiasco con la paglia, spero di si. Sono pero’ sicuro che artigiane come quelle qua sopra ne son rimaste meno che di lontre nei nostri torrenti.

Io i fiaschi con la paglia me li ricordo, come ricordo chi impagliava le sedie. Oggi cose cosi’ sono quasi preistoria: i ritmi di lavoro imposti dal turbo capitalismo invocano una produttivita’ che solo le macchine (o operai sulla soglia dell’alienazione) possono assicurare. La dimensione -come dire?- umana e sociale del lavoro, cosi’ ben rappresentata da queste tre fiascaie che si deformano le mani a suon di impagliar fiaschi ma comunque hanno il tempo di discorrere tra loro e di farsi due risate e’ morta da quel di’.

Le foto rappresentano una testimonianza di un’epoca che non e’ piu’, e ci permettono di rivivere con la mente quei tempi, di immaginare cosa pensassero quelle persone, i loro problemi quotidiani, cosa facessero il sabato sera… La loro vita, insomma.

Piu’ potente della foto e’ la testimonianza orale di chi certe cose le ha davvero vissute.

Prima di Canali un vecchio partigiano -uno degli ultimi- e’ stato accompagnato sul palco da un giovanotto di colore con una testata di capelli rasta che neanche Bob Marley. Il ragazzo aveva un incredibile accento fiorentino, ma ovviamente il protagonista era il vecchio. Che ci ha raccontato di come da giovane s’e’ fatto tutta la guerra di liberazione, non solo nella sua citta’ ma anche dopo il 25 aprile, a maggio inoltrato a rincorrere i tedeschi in fuga in Lombardia e Trentino. Il suo racconto e’ iniziato pero’ da prima, dagli anni ’20, da quando i fascisti presero il potere e repressero a bastonate e a fucilate qualsiasi voce dissonante, qualsiasi comportamento non conforme alle regole del Fascio.

Ogni frase iniziava con “mi ricordo…”, o “io me lo ricordo bene”.

E alla fine del breve discorso il partigiano ha ammonito gli spettatori a non dimenticare. Perche’ quel che e’ successo una volta non abbia a risuccedere di nuovo.

Ecco, insomma: serve a qualcosa ricordare?

Cazzo, certo che si.

Serve perche’ con la memoria si accumula esperienza, perche’ tutta la nostra vita e’ fatta di esperienze che ci insegnano (a volte. A volte invece siamo sordi agli insegnamenti, e rifacciamo all’infinito gli stessi sbagli…) e ci fanno crescere.

L’Italia e’ un Paese che manca della capacita’ di fare tesoro delle esperienze passate, non solo per quel che riguarda il fascismo e la seconda Guerra Mondiale. Probabilmente giornate come il 25 aprile o il 1 maggio danno cosi’ noia ai destrumani proprio perche’ almeno una volta l’anno li mettono di fronte ai ricordi. E’ piu’ facile certamente far finta di niente, andare al mare, al cinema. Non pensare. Non prendersi responsabilita’, ne’ la briga di appioppare colpe.

Sarebbe piu’ sopportabile per certa gente andare a lavorare, che se non fosse festa nessuno si ricorderebbe del 25 aprile o del 1 maggio.

E a poco a poco tutti se ne dimenticherebbero. E magari dopo un po’ potremmo tornare alle condizioni lavorative di inizio ‘900, o a una bella dittatura.

Auguri.

Quando l’ultimo partigiano morira’ spero che chi ha sentito il suo racconto ne diventi cantastorie, e che tramandi il ruolo ai suoi figli.

Si: ricordare serve, la memoria e’ necessaria.

Barney

La playlist di Pasqua

Che con la Pasqua non c’entra nulla, ma cosi’ provo Grooveshark e l’embedding di un player di liste (piove, c’e’ da passare il tempo…)

Barney