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“Il ragazzo più felice del mondo”, Gipi (Italia, 2018)

Tra le cose belle di Lucca Comics and Games 2018 per me c’è stata la visione de “Il ragazzo più felice del mondo”, secondo film serio di Gipi dopo “l’ultimo terrestre” (che a me era piaciuto moltissimo).

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E’ questo un film che andrebbe visto solo per la storia (vera) che sta dietro alla pellicola, e che vado indegnamente a sintetizzare qua sotto molto peggio di quello che farebbe il regista (per cui vi consiglio di vederlo assieme a lui, in questi giorni sta girando qua e la per promuoverlo, e se avete fortuna vi capita nel raggio di qualche decina di chilometri).

1997. Uno scalcagnato disegnatore toscano che tira a campare pubblicando storie non porno su una rivista semi-porno riceve una lettera vera, scritta a mano. E’ di un ragazzo di 14 anni. Francesco, che si dichiara fan sfegatato del disegno erotico (??!!!) e degli animali, e chiede cortesemente allo scalcagnato disegnatore “uno schizzetto” su un cartoncino appositamente inserito all’interno della lettera. C’è anche un francobollo, e se lo scalcagnato disegnatore volesse fare lo schizzetto e spedire il cartoncino al ragazzo, egli sarebbe il ragazzo più felice del mondo. Il disegnatore archivia la missiva in uno scatolone, non dopo essersi fatto una sana overdose di autostima: in fondo ha un fan, per la miseria!

2017. Il disegnatore scalcagnato è diventato un fumettista rinomato e poliedrico, oramai i suoi lavori sono etichettati come “graphic novels” e  riesce agevolmente a pagare le bollette del gas, invece che doversi procurare la legna nel bosco per scaldarsi. Una sera si mette a curiosare sulle bacheche virtuali dei suoi colleghi, e gli cade l’occhio su un post di un amico, Alessio Fortunato.

Anche lui disegnatore.

Anche lui ha ricevuto la stessa lettera da Francesco, che ora ha 15 anni e che scrive sempre a mano, inserendo nella busta un cartoncino preaffrancato, perché se Alessio volesse cortesemente farci sopra uno schizzetto e rispedirlo indietro, ecco: lui sarebbe il ragazzo più felice del mondo.

Dopo una telefonata all’amico per avvertirlo che la stessa lettera lui l’ha ricevuta vent’anni prima, il disegnatore toscano -mosso da morbosa curiosità e animato da una felice intuizione- scrive un messaggio a tutti i suoi colleghi di matita, chiedendo se a qualcuno di loro è per caso capitato di aver ricevuto in questi venti lunghi anni una letterina da Francesco, con richiesta di “schizzettino” su cartoncino preaffrancato.

Poi il disegnatore va a dormire.

La mattina si sveglia, e nella sua cassetta di posta -elettronica- trova cinquanta messaggi. Di cinquanta diversi disegnatori che hanno ricevuto la lettera. Sempre la stessa. Con soltanto alcuni particolari differenti che rendono ciascuno di questi cloni un’opera unica.

Ecco, il film racconta questo, e come Gipi e tre amici si mettono in moto per rendere davvero quel ragazzo (che oramai, nel 2017, tanto ragazzo non sarà più…) veramente il ragazzo più felice del mondo.

Già questo a me farebbe venire voglia di andare al cinema, in realtà nel film c’è di più. E sorprendono le prove più che convincenti dei quattro protagonisti, principianti assoluti nel ruolo di attore, sorprende il meta-linguaggio utilizzato, le battute, anche la regia non è per niente male. Sopra a tutto poi il continuo ammiccamento alla rottura della quarta parete che divide lo spettatore dagli attori, a rendere questo film qualcosa di diverso da quel che si vede solitamente al cinema.

Il giorno prima della proiezione ho avuto il piacere di ascoltare Gipi raccontarsi nella sua veste classica di fumettista, e una delle cose più interessanti che ha detto si riferisce a una serie di tavole del suo ultimo libro “La terra dei figli” (chi non l’ha ancora letto può approfittare della riproposizione a prezzo politico con Repubblica, in edicola). La storia non sto a raccontarvela, merita di essere letta tutta, però l’episodio commentato da Gipi merita due parole: i protagonisti del libro sono due ragazzi che vivono in un futuro distopico dove i giovani non sanno leggere né scrivere. I due a un certo punto riescono ad impossessarsi di un diario scritto da loro padre, e il ragazzino più giovane a un certo punto apre il diario. Da lì la prospettiva del lettore è quella del ragazzo, che si trova davanti (e noi con lui) pagine e pagine di carta con dei segni vergati sopra, che per lui non hanno alcun significato. Una voce fuori campo (il fratello maggiore) chiede “Che fai?”. Il ragazzino risponde “Leggo”. Il fratello replica “Ma tu non sai leggere”. Però il giovane continua per pagine e pagine a sfogliare quella carta con degli scarabocchi neri, e noi con lui, e lui e noi cerchiamo di interpretare quegli scarabocchi, dki capire cosa il padre abbia scritto lì sopra. E noi diventiamo lui, e credo che questo sia il massimo che un artista può chiedere alla sua opera: che inglobi il fruitore e lo renda parte della storia.

Ecco, “Il ragazzo più felice del mondo” non arriva a questo livello di coinvolgimento, ma di sicuro alla fine del film gli spettatori si saranno in qualche misura ritrovati in uno dei quattro personaggi, e ciascuno avrà un finale in testa diverso da quello che è stato proiettato sullo schermo. Un’ora e mezza spesa benissimo, se ne esce divertiti e curiosi.

E poi, se l’orecchio non m’ha ingannato, c’è pure un pezzo dei Minutemen come colonna sonora, che volete di più?

Toh, ve ne metto uno anche io qua sotto:

 

Barney

 

[Cartaresistente] Città raccontate: Lucca n. 6 (Lucca Comics and Games)

Lucca ospita ogni anno, nel weekend del 1 novembre, il Festival Internazionale del Fumetto, del Cinema d’Animazione, dell’Illustrazione e del Gioco. In parole povere, Lucca Comics and Games, in sigla d’ora in poi LCG.

LCG è di gran lunga l’evento più “riempipista” per la città: in quattro giorni si assiste ad un vero e proprio gioioso e colorato assedio da parte di più o meno giovani appassionati di fumetti e giochi di ruolo. Per dare un’idea a chi non ha mai provato l’ebrezza del Festival, l’edizione passata ha fatto registrare piu’ di 200.000 presenze, con più di 180.000 biglietti venduti. Tutta questa gente “fa girare l’economia”, e muove – in soli quattro giorni, ve lo ricordo – un venticinque milioni di Euro tra biglietti, fumetti venduti e indotto (vitto e alloggio). I lucchesi mugugnano e sbuffano per 361 giorni l’anno su come questo esercito di cosplayer, collezionisti, pazzi furiosi e adolescenti muniti di brufoli d’ordinanza sconvolga la tranquilla esistenza dei novemila residenti nel centro storico. Poi, contano gli incassi dei giorni di LCG e mugugnano su quanto poco duri la pacchia. Lucchesi: popolo di commercianti e venditori, si dice che siamo tirchi e corti di braccio, ma è tutta invidia

Nel 2008, nell’ambito di LCG fu organizzata una bella mostra nella quale si raccolsero le tavole originali di sei storie accomunate dall’essere ambientate a Lucca o nella campagna lucchese. Tra le storie esposte (ed integralmente fruibili da questo link qua) ce n’era una disegnata da Vittorio Giardino e sceneggiata da Pierfrancesco Prosperi che a me è sempre piaciuta parecchio: “La terza verità”. La si trova anche nel volume della collana “I grandi classici del fumetto di Repubblica” dedicato a Giardino. Il tratto di Giardino ricorda quello di Manara, che è più famoso solo perché disegna più donnine nude. Che riescono benissimo anche a Vittorio, per inciso; ma le sue storie sono più cerebrali, come quella ambientata a Lucca, che è – anche grazie al plot di Prosperi – un giallo fatto e finito, con innumerevoli colpi di scena e molta azione. C’e’ anche del sesso, ma non e’ fine a se stesso: fa parte della storia.

E così abbiamo anche introdotto il tema vero dell’articolo.

Dunque, dicevo che “La terza verità” è ambientato a Lucca. Questo è vero in senso letterale: l’autore non si è fatto ispirare da un luogo per poi – come a volte capita – costruire una città di fantasia. Qua i luoghi, i nomi, gli scorci sono esattamente quelli della mia città. E siccome sono luoghi e scorci che vedo tutti i giorni, m’è venuto in mente – in preparazione a LCG 2013 – di provare a far vedere anche ai lettori di Cartaresistente la maestria di Giardino nell’uso della linea chiara per i suoi fumetti, e la cura per i particolari che mette in ogni singolo disegno. Le foto cercano volutamente di scimmiottare i disegni: credo che così ci si possa rendere conto di quali sono i punti essenziali del luogo, e di come Giardino li ha colti molto meglio di come puo’ fare un mezzo artificiale quale è la macchina fotografica.

Basta scrivere, ecco qua lo svolgimento del tema:

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Barney

Lucca Comics & Games 2016 – le mostre

In una citta’ che per 5 giorni sara’ blindata (dopo Nizza e il Bataclan, si entra solo dopo check con metal detector, c’e’ polizia dappertutto e su alcuni viali hanno messo blocchi di cemento anti-autobus…) e invasa dai cosplayer, vi racconto velocemente le mostre di Palazzo Ducale, che come ogni anno (stupidamente) stanno aperte solo due settimane, quindi avete tempo solo fino al 1 novembre per vederle.

Il main stage quest’anno e’ per Zerocalcare, autore anche del manifesto dell’edizione del cinquantenario:

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La sua mostra e’ molto bella, piena di tavole originali e dei suoi taccuini di viaggio su cui ci sono schizzate le storie, inclusi quelli di Kobane calling. C’e’ anche una video intervista  in cui Zerocalcare si racconta con la semplicita’ di un ragazzo che e’ rimasto piu’ o meno quello degli inizi.

Qua sotto un muro di poster di manifestazioni e concerti underground di musica punk e Oi!, i generi preferiti dal coatto de rRebBibbia:

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Procedendo, si incontrano le tavole di Kamimura Kazuo, arte giapponese che a me piace il giusto:

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Poi una sala immensa con tavole, video interviste e making of dedicata a Casty, uno dei disegnatori di punta della Disney:

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A meta’ tra bambino e adulto, la sezione dedicata a Tony Diterlizzi, famoso per le illustrazioni di Spiderwick (poi trasformato in un film), e per le tavole a tema “Dungeons and Dragons“:

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E a seguire un altro pezzo forte di quest’anno (secondo il mio insindacabile gusto, chiaro): Benjamin Chaud e i suoi disegni per bambini e per genitori che sono rimasti bambini:

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Sono tavole grandi, piene di particolari di vita quotidiana, con ambientazioni varie e strapiene di personaggi. Ci si puo’ giocare a “trova il pezzo x” per ore.

 

Poi Frank “She-Hulk” Cho e le sue donnine superdotate disegnate con tratto chiaro e pulito:

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L’ultima stanza dell’esposizione accoglie una selezione delle vignette di Joan Cornellà, un catalano che ama provocare. Questa sezione e’ consigliata ad un pubblico adulto, non chiedetemi perche’. O forse basta guardare questa tavola, presente anche a Lucca:

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Per il resto, il solito bordello di giovani sorridenti e travestiti da qualsiasi cosa, sia a tema che meno (per dire: ho visto uno -che avrei dovuto investire con l’auto- “travestito” da Antonio Banderas nello spot del Mulino Bianco), padiglioni aperti in ogni dove, ed eventi che avrebbero meritato di piu’ la mia attenzione, avessi avuto il tempo di prenotare l’ingresso qualche mese fa. Ad esempio Frank Miller me lo sarei visto volentieri, ma era gia’ tutto esaurito venerdi’ scorso :-/

 

Barney

Lucca Comics & Games 2015 – le mostre

Ho visitato per adesso solo quella di Palazzo Pretorio. Che contiene:

  • una bella retrospettiva su Bonvi e le sue Sturmtruppen, a vent’anni dalla prematura morte di un disegnatore tra i piu’ ironici che l’Italia abbia mai avuto.
  • una mostra di Emanuele Luzzati, piena di scenografie e di antichissimi fumetti dell’artista genovese,
  • una immensa mostra delle opere di Karl Kopinski, l’artista inglese che quest’anno ha fatto il poster della mostra:

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  • una mostra dedicata a Tuono Pettinato, con tra le cose piu’ interessanti i ritratti di personaggi piu’ o meno famosi:

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e infine il pezzo forte:

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“Here” e’ un fumetto scritto e disegnato due volte: la prima nel 1989, consisteva di solo sei pagine in bianco e nero. Queste qua. L’idea -semplice ma geniale- dell’artista era di usare una inquadratura fissa (una stanza di una casa americana qualsiasi) e far scorrere, in quella inquadratura, il tempo. Cosi’ si ha un continuo flashback e flashforward a partire dal 1957 (anno della nascita di McGuire), si vede una pianura colma di dinosauri, un futuro lontano, un uomo che costruisce la stanza, persone diverse che ballano in anni diversi… insomma il tempo che scorre visto da una telecamera fissa. Avanti e indietro.

Venticinque anni dopo McGuire riprende in mano “Here” e lo trasforma in un libro di trecento pagine, sempre con la stessa identica inquadratura di quella medesima stanza. Ma lo colora, usa tecniche miste, tira fuori una versione e-book interattiva che permette al lettore di scorrere con le dita il tempo che passa. Non si puo’ raccontare, va visto e letto per capire di che si tratta. Qua c’e’ una ottima recensione di quelle da circolo degli intellettuali :-), addirittura l’idea e’ stata trasformata in un cortometraggio qualche annetto fa. Questo qui:

Spesso fare qualcosa di incredibilmente bello parte da un’idea semplice.

Ma e’ averla, quell’idea, che fa la differenza tra una persona normale e un genio.

Barney