Dopo “La grande scommessa” Adam McKay gioca al rialzo e racconta cinquant’anni di storia politica americana attraverso una biografia molto romanzata di Richard “Dick” Cheney.
Personalmente conoscevo Cheney solo come vice Presidente nell’era GW Bush, ma la sua carriera politica è vecchia più di me, e inizia addirittura con l’altro “Tricky Dick” della storia a stelle e strisce: Nixon.
Diciamo subito che Adam McKay non è un repubblicano, che il film è “a tema”, che si schiera immediatamente dall’altra parte rispetto a Cheney, e che per questo i conservatori -anche e soprattutto nostrani- medi schiferanno la pellicola.
Chi va oltre il tifo politico non potrà non ammirare la tecnica narrativa del regista (che riprende i trucchi narrativi di “The big short”, primo tra tutti il continuo infrangere la quarta parete, più una fantastica fine a metà film con tanto di titoli di coda, buio e assolvenza su un nuovo inizio), e la prova corale di un cast altrettanto rodato. Oltre a un Christian Bale da Oscar per quanto si è reso irriconoscibile (è dura arrivare alla fine senza pensare che ci fosse uno stuolo di attori ad impersonare Cheney), ci sono Amy Adams che fa la signora Cheney, Steve Carell (con Bale e McKay anche ne “La Grande Scommessa”) nel ruolo di un altro personaggio di elevato peso specifico e poca visibilità (Donald Rumsfield) e Sam Rockwell nei panni di George W Bush. Ma tutti i maggiori protagonisti degli anni a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo sono chiamati sul palcoscenico: da Condoleeza Rice a Colin Powell a Paul Wolfovitz. Oltre a Nixon, Kissinger, Carter, Ford, Reagan, George Bush Senior… quelli della “prima vita” di Cheney insomma.
Ci sono tante cose interessanti nelle due ore di pellicola, oltre all’ascesa quasi casuale di un giovane sfaccendato fino alla cima della catena di comando del paese più potente al mondo: ad esempio l’uso di gruppi di cittadini per testare l’efficacia di certi messaggi politici (vent’anni fa non c’erano i social media, per manipolare le idee della gGente si doveva fare un po’ più di fatica, e studiarla abbastanza bene. Uno come Di Maio sarebbe durato come un catto sull’Aurelia, per esempio, di fronte a un Rumsfield), o la capacità quasi robotica di Cheney di distinguere tra le idee del partito Repubblicano sulle unioni omosessuali e l’omosessualità di sua figlia minore, difesa e sostenuta per quarant’anni da tutti gli attacchi esterni (finché la sorella maggiore non scende in campo per uno scranno al Senato, e sconfessa la sorella distruggendo l’unità di una famiglia che nel privato era unitissima), o scene eccezionali come l’arrivo di Carter alla Casa Bianca che fa montare i pannelli solari sul tetto, e al giro dopo arriva Reagan che smonta tutto.
Ma soprattutto c’è cinema di ottimo livello, c’è storia -vera e romanzata-, ci sono attori eccellenti… c’è tutto quello che dovrebbe portare la gente al botteghino, e spero che in molti vadano a vedere anche questo prodotto, dopo essersi fatti la fila per la storia di Freddie Mercury: ne vale veramente la pena.
Barney
Sempre detto che i tecnici sono quelli che scrivono meglio (non c’entra col merito del post, me ne resto sempre talmente incantata che ogni tanto bisogna proprio che lo dica)
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Proprio ieri ho rivisto “The big short”. Gran film. Impegnato, divulgativo, divertente. Un film così all’anno, e già staremmo alla grande.
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Non apprezzo molto il biopic, ma questa tua recensione mi ha fatto venire voglia (nonostante abbia dei pessimi ricordi della mia adolescenza “in compagnia” di Cheney). Ci penserò.
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