La trasferta dell’assessment

Sono stato via un par di giorni, a farmi valutare per quelle che sono le mie potenzialita’ professionali.

Me lo ha impost chiesto l’azienda, che ha visto bene di allungare a tradimento di un giorno una trasferta gia’ organizzata a tradimento, e visto che c’era quel giorno pieno da riempire (io in realta’ avrei avuto da lavorare, sia quel giorno che il giorno prima, ma chi sono io per dettare le agende aziendali?) ci siamo trovati in otto in una sala riunioni con Carlo e Laura, i due psico-domatori di manager, executive e professional (che ancora io non ho capito quale sarebbe la categoria che dovrebbe contenermi…), tutti in giacca e cravatta meno io e il collega T., a sottolineare probabilmente una carenza di commitment oramai cronica, o forse -nel mio caso- un’approccio alla giornata piu’ da sessione di Dungeons and Dragons che da roba seria. Approccio che rivendico come quello giusto ed appropriato ad una esperienza che -secondo me- dovrebbe fotografarti per quel che sei, non per quello che vorresti che Carlo e Laura dicessero al tuo capo.

Se ci vai incravattato e citi l’azienda ogni tre per due anche quando non c’entra nulla, credi che Carlo mangi la foglia? Pensi che Laura sia nata ieri? Quei due, miti e silenziosi osservatori del piccolo branco loro assegnato, son pagati per quello: sgamare chi fa finta, estirparti la maschera da dosso e vedere quel che c’e’ sotto, setacciare le tue parole e ricavarne un profilo psicologico e caratteriale che puo’ significare per te l’essere degradato a magazziniere (probabile), o promosso a Business Unit Leader (la danno 300 a 1, come la Vinci contro la Williams…). Che poi, alla fine, lo stipendio e’ quasi uguale, conviene quasi fare il magazziniere, e forse ti diverti anche (di sicuro ti stressi meno).

Mi sono divertito, alla fine, perche’ -come ho detto a Carlo- ho giocato onestamente come se fosse un gioco serio, e siccome per me giocare e’ una cosa seria Carlo ha avuto davanti il vero me stesso (com capita quasi sempre anche nel mio lavoro. E questo e’ uno dei difetti che mi si riconoscono. Lo confermo: non riesco a fingere piu’ di tanto, nella vita). Il che ha comportato che a un certo punto sono usciti fuori gli Smiths di “Please, please, please”:

e prima di quello “A clockwork orange”, perche’ a me se mi dici “Drugo” a quello penso. Lebowsky arriva con mezze ore di ritardo, se arriva.

E -ovviamente- Amanda Palmer, che per contratto con l’omino del mio cervello esce sempre fuori quando si tratta di imparare a chiedere, e a ringraziare dopo avere ottenuto (oltre a quando si parla di musica, chiaramente):

E infine -poteva mancare?- Randall Munroe e xkcd.

Oltre ad una contro-citazione in chiave negativa da una presentazione corporate del giorno prima (un CEO, mica un magazziniere…), che per illustrare il cambio di paradigma non ha trovato di meglio che lo scontatissimo Fosbury a Mexico ’68 (in contesti simili, potrei scommettere che esce fuori almeno nel 60% dei casi. Datemela alla quota che vi pare, scommetto e son certo di non perdere).

Copyright Getty Images

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Insomma, una giornata interessante per un ex-etologo ed ex-psicologo comportamentale (si parla di una vita precedente), e per un attuale accanitissimo giUocatore di Lupus in Tabula, una cosa che se la giocavano a Princeton ogni settimana qualcosa deve voler dire, no?

Ah, nelle sessioni di gruppo mi han dato il compito di scrivere le risposte. Una delle motivazioni e’ che scrivo in corsivo legato, pare che molti altri abbian perso la capacita’, a parte la loro firma. Aggiungo questo allo sterminato elenco di segni che la civilta’ sta lentamente sbriciolandosi.

Barney

14 pensieri su “La trasferta dell’assessment

  1. Pingback: La trasferta dell’assessment | il rifugio delle scimmie

  2. Man from Mars

    Ah, queste robe psico{logiche/patiche} mi ricordano i colloqui di lavoro di “quando ero giovane”. Una volta mi trovai in un colloquio di gruppo (l’offerta era per uno stage, un modo poco limpido di tenerti in prova e mandarti a casa se non mostravi buone potenzialità) in cui gli esaminatori chiesero di svolgere un’attività che, appositamente, non aveva una “soluzione” univoca. Tutti si affannavano ad affermare le proprie teorie, cercando di mettersi in mostra (convinti che fosse una strategia vincente). Io, che – perdona il francesismo – me ne passavo p’o’ ca**, rimasi a guardare i convocati scannarsi per qualche minuto; dopo un po’, con tutta calma dissi: “Va bene qualunque soluzione, l’importante è dimostrare di sapersi coordinare nel trovarla. Quindi smettiamola di perdere tempo e buttiamo giù una lista”.
    Indovina chi è stato richiamato?
    Io non so se gli psicologi dell’HR sono davvero convinti di quello che fanno: io, come te, ormai non attuo più nessuna strategia di “mascheramento”. Mi sembra poco dignitoso dopo una dozzina d’anni di lavoro. E continuo a scrivere in corsivo legato, anche se con una grafia – a tratti – pessima!

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    1. Barney Panofsky Autore articolo

      L’esempio di Fosbury è credo il più abusato della storia dei motivatori, ma è niente in confronto a quello che è stato usato per il tempismo:-Moshe Dayan e la guerra dei 6 giorni. Un giordano non esattamente magazziniere non l’ha presa benissimo… (l’ha fatto lo stesso di Fosbury)

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      1. Man from Mars

        A mia memoria nessuno mi ha mai motivato con Fosbury. Con metafore di salti sì, del tipo “O mangi ‘sta minestra o ti butti dalla finestra”. Lo stile è a tua discrezione. Ma non è proprio una tattica di motivazione, sembra più una intimidazione.
        Ho fatto pure le rime, giuro che non volevo.

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  3. rO

    Prossimamente spero di essere chiamata a dei colloqui. Dici che mi dovrei preparare due o tre uscite? Perché a me, sinceramente, non viene in mente né il fosbury né altro.

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    1. Barney Panofsky Autore articolo

      Secondo me no. Fosbury l’ho citato perche’ ha colpito me e i colleghi per motivi diversi, il giorno prima. Il resto fa parte delle cose che mi appartengono da sempre, e per quel che posso dire e’ sempre meglio apparire per quelli che si e’ piuttosto che impresonare una parte che poi devi continuare a recitare. Io in questo senso sono una frana, e’ un mio limite: appaio per il cazzone che sono, sempre.

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