Dopo l’accoppiata “25 aprile – 1 maggio” il qualunquismo destrumane tipicamente italiota (cresciuto a botte di Berlusconesimo militante e rafforzato da quarant’anni di lavaggio del cervello televisivo condito da botte quotidiane di MariedeFilippi, GiancarliMagalli, Maurizi “Buonecamicieatutti” Costanzi e altri domatori di neuroni di tal fatta) esce fuori.
Sempre.
Tutti gli anni.
Sabato sera prima del concerto di Canali mi son trovato a guardare una mostra fotografica nel posto dove poi avrebbero suonato. Erano foto d’epoca, diciamo dagli anni trenta agli anni ’70 del secolo scorso, e illustravano non solo vari scioperi, comizi, manifestazioni… ma anche lavori che oggi non esistono piu’. Tra le cose che mi hanno davvero colpito una serie di foto di fiascaie, e molte immagini di lavoratori all’interno di fabbriche di fiammiferi.
Questa qua sotto e’ proprio una delle foto che ho visto sabato:
Oggi i fiaschi (spero tutti sappiate cosa e’ un fiasco…) resistono in selezionate osterie da VIP, oppure sono impagliati con della plasticaccia che fa schifo a guardarla, immaginarsi a toccarla. Non so se almeno il fiasco di Gallo Nero e’ sempre venduto nel fiasco con la paglia, spero di si. Sono pero’ sicuro che artigiane come quelle qua sopra ne son rimaste meno che di lontre nei nostri torrenti.
Io i fiaschi con la paglia me li ricordo, come ricordo chi impagliava le sedie. Oggi cose cosi’ sono quasi preistoria: i ritmi di lavoro imposti dal turbo capitalismo invocano una produttivita’ che solo le macchine (o operai sulla soglia dell’alienazione) possono assicurare. La dimensione -come dire?- umana e sociale del lavoro, cosi’ ben rappresentata da queste tre fiascaie che si deformano le mani a suon di impagliar fiaschi ma comunque hanno il tempo di discorrere tra loro e di farsi due risate e’ morta da quel di’.
Le foto rappresentano una testimonianza di un’epoca che non e’ piu’, e ci permettono di rivivere con la mente quei tempi, di immaginare cosa pensassero quelle persone, i loro problemi quotidiani, cosa facessero il sabato sera… La loro vita, insomma.
Piu’ potente della foto e’ la testimonianza orale di chi certe cose le ha davvero vissute.
Prima di Canali un vecchio partigiano -uno degli ultimi- e’ stato accompagnato sul palco da un giovanotto di colore con una testata di capelli rasta che neanche Bob Marley. Il ragazzo aveva un incredibile accento fiorentino, ma ovviamente il protagonista era il vecchio. Che ci ha raccontato di come da giovane s’e’ fatto tutta la guerra di liberazione, non solo nella sua citta’ ma anche dopo il 25 aprile, a maggio inoltrato a rincorrere i tedeschi in fuga in Lombardia e Trentino. Il suo racconto e’ iniziato pero’ da prima, dagli anni ’20, da quando i fascisti presero il potere e repressero a bastonate e a fucilate qualsiasi voce dissonante, qualsiasi comportamento non conforme alle regole del Fascio.
Ogni frase iniziava con “mi ricordo…”, o “io me lo ricordo bene”.
E alla fine del breve discorso il partigiano ha ammonito gli spettatori a non dimenticare. Perche’ quel che e’ successo una volta non abbia a risuccedere di nuovo.
Ecco, insomma: serve a qualcosa ricordare?
Cazzo, certo che si.
Serve perche’ con la memoria si accumula esperienza, perche’ tutta la nostra vita e’ fatta di esperienze che ci insegnano (a volte. A volte invece siamo sordi agli insegnamenti, e rifacciamo all’infinito gli stessi sbagli…) e ci fanno crescere.
L’Italia e’ un Paese che manca della capacita’ di fare tesoro delle esperienze passate, non solo per quel che riguarda il fascismo e la seconda Guerra Mondiale. Probabilmente giornate come il 25 aprile o il 1 maggio danno cosi’ noia ai destrumani proprio perche’ almeno una volta l’anno li mettono di fronte ai ricordi. E’ piu’ facile certamente far finta di niente, andare al mare, al cinema. Non pensare. Non prendersi responsabilita’, ne’ la briga di appioppare colpe.
Sarebbe piu’ sopportabile per certa gente andare a lavorare, che se non fosse festa nessuno si ricorderebbe del 25 aprile o del 1 maggio.
E a poco a poco tutti se ne dimenticherebbero. E magari dopo un po’ potremmo tornare alle condizioni lavorative di inizio ‘900, o a una bella dittatura.
Auguri.
Quando l’ultimo partigiano morira’ spero che chi ha sentito il suo racconto ne diventi cantastorie, e che tramandi il ruolo ai suoi figli.
Si: ricordare serve, la memoria e’ necessaria.
Barney
Che uno entra qui dentro e legge: “Serve a qualcosa ricordare? Rispondi”. E va bene, obbedisco e rispondo: sì. Sempre.
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E certo che serve ricordare, serve per sapere da dove veniamo e di chi siamo figli (nel bene e nel male)
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Sottoscrivo, sottolineo, evidenzio
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